App, nickname e una chat su WhatsApp: i calciatori scommettevano così

Le indagini stanno cercando di ricostruire il sistema illegale di cui si servivano i campioni che credevano di essere protetti dall’anonimato
App, nickname e una chat su WhatsApp: i calciatori scommettevano così© LAPRESSE
Roberto Maida
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ROMA - Conosciamo da tempo certi termini: app, account, nickname, password. Sono parole familiari per i milioni di italiani che giocherellano con il telefonino ogni giorno. Ma qui il gioco si fa duro. E illegale. Gli investigatori di Torino stanno ricostruendo il sistema che ha coinvolto alcuni (molti) calciatori professionisti, che ritenevano probabilmente di essere al sicuro puntando sulle partite dietro a un nome falso. In realtà la loro ingenuità - quella di scommettere on line - sta diventando la principale prova a loro carico. Perché la rete telematica non si buca mai. Tutto resta nella memoria dei server, che sono capaci di svelare ogni singolo movimento finanziario. E così le «bollette», come gli allibratori chiamano le scommesse in gergo, restano impilate una sopra all’altra nel contenitore virtuale, proprio perché la giustizia possa intervenire nei casi di violazione.

Come funzionano i siti di live betting

Esistono decine di piattaforme legali a portata di click, attraverso le quali qualunque cittadino italiano maggiorenne può scommettere sul calcio, anche durante la partita grazie al cosiddetto live betting. Basta compilare un modulo telematico d’iscrizione, fornire al gestore i dati di una carta di credito, effettuare il deposito e poi navigare in cerca dell’evento preferito. Un tempo, agli albori del sistema gestito dai Monopoli di Stato, si poteva puntare soltanto sui risultati delle partite, anche combinati tra loro. Adesso invece si può spaziare tra i possibili marcatori e il numero di calci d’angolo, la quantità di ammoniti e addirittura sulla squadra che darà il via alla partita per sorteggio: come giocare al rosso e nero nella roulette di un casinò.

Scommesse clandestine: i retroscena

Il problema è che i calciatori indagati, secondo le ipotesi di reato formulate dalla procura di Torino, si sarebbero appoggiati a un giro di scommesse clandestine, guidati da personaggi di cui ritenevano di potersi fi dare perché conosciuti attraverso uno di loro. Un Nazionale, uno che spesso è fi nito in prima pagina in questi anni a dispetto della giovane età. Una delle chiavi dell’inchiesta, a quanto pare, è una chat di whatsapp che conteneva diversi nomi illustri: era quello il centro di confronto sulle giocate, che poi ciascun partecipante piazzava su un’applicazione prestabilita. Non è chiaro ancora come avvenisse il passaggio di denaro. Sarebbero diversi, anzi, i casi di scommessa “sulla fiducia” che veniva contabilizzata dall’app e poi saldata, da una parte e dall’altra, in denaro contante e non solo. Si parla di tanti soldi, comunque. Cifre che, se fossero state proposte su circuiti autorizzati, avrebbero attirato certamente l’attenzione degli allibratori e quindi dei magistrati. Eppure il giro è stato scoperto lo stesso, grazie alla soffiata di qualcuno che ne conosceva molto bene il meccanismo.

Il paragone con lo scandalo del 1980

Sembra proprio di rivivere, con sistemi e attori diversi e adeguati ai tempi, lo scandalo del 1980, anche se forse il movente delle scommesse è diverso: allora l’obiettivo esplicito era truccare le partite, stavolta è semplicemente il brivido del gioco. Il punto è che le conseguenze per i calciatori coinvolti potrebbero essere altrettanto gravi, almeno in termini di punizione sportiva: il dolo si configura anche per coloro che non conoscevano il codice e le pene in esso previste.


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