Rombo di Tuono
Alla politica e al mercato, al pari del successo, quest’uomo seppe resistere con una condotta di vita che somiglia a una indomita tempra, e che accorcia la distanza tra il mito e la realtà. Gigi Riva era vero, ancorché la sua verità a volte sfiorava l’impossibile. Come quando guidò la Nazionale nelle cavalcate che, a distanza di due anni, la portarono a vincere l’Europeo e a sfiorare il Mondiale. O come quando, rientrato con il perone inchiodato dopo otto mesi di stop, segnò un gol in tutte e quattro le ultime partite del campionato, tornando a piegare le mani dei portieri. Rombo di Tuono, così lo chiamò Gianni Brera, simboleggiava un’inedita, e forse mai più ripetuta, pastura: una muscolatura imponente vestiva la sua ossuta magrezza come una corazza invincibile, capace di scagliare il pallone alla velocità del suono. Tutto ciò che nel campione era esibizione di forza nell’uomo parlava la lingua, o più spesso il silenzio, della discrezione, della mitezza, del pudore. Ma anche un attaccamento integrale alla maschera di orfano che la sorte gli aveva messo addosso. «Io non ho nessuno a cui dedicare nulla – disse ancora a Brera in una storica intervista – Segno per dovere».