L'ossessione di costruire dal basso: nessuno vuole più spazzare la palla

In discussione non c’è lo schema in sé, ma la moda di applicarlo in ogni situazione. Il giocatore che riceve palla al centro è esposto al pressing e all’errore
L'ossessione di costruire dal basso: nessuno vuole più spazzare la palla
Alberto Polverosi
4 min

Italia-Venezuela offre lo spunto ideale per soffermarci su un argomento assai dibattuto in questi ultimi anni: la costruzione dal basso. Nell’amichevole di Miami un rigore e due gol (su tre) sono arrivati con errori nati su un’azione che comincia dal portiere e cerca, senza trovarlo, lo spazio per trasformarsi in pericolo. Il pericolo c’è, come si è visto, e si è pure materializzato, ma per chi parte da dietro. Qui non è in discussione lo schema in sé e per sé, qui è in discussione la sua forzatura, la necessità (per apparire al passo coi tempi?) di cominciare a tutti i costi dal basso. Lo scambiano per calcio moderno, in realtà questo è un calcio che non ha senso. Se il portiere lancia lungo (come fa Milinkovic nel Torino di Juric, ma anche Ederson nel Manchester City di Guardiola...), sei un allenatore vecchio, bollito. Sei un allenatore che non allena. Già, Guardiola non allena.

L'ossessione di costruire dal basso

Si può cominciare dal basso? Certo che si può. Si deve cominciare dal basso? No, non si deve, non è obbligatorio. Eppure guardi in giro e ne trovi poche di squadre che alternano l’azione da dietro col lancio lungo. Brutta definizione, il lancio lungo. Sa davvero di calcio anni Settanta, di Zoff che rinvia alto a campanile. Nella costruzione da dietro c’è un movimento che personalmente ci terrorizza, è il passaggio del portiere al giocatore che viene incontro centralmente alla palla, giocatore che alle spalle ha sempre il suo marcatore (perché ormai tutti vanno in pressing su chi raccoglie quel pallone), lo sente ma non lo vede avendo la faccia rivolta al proprio portiere, non sa dove può essere contrastato, avverte nemmeno il pericolo ma non se ne preoccupa, nonostante sia così esposto. A quel punto basta un errore, che in un’altra zona del campo avrebbe poche conseguenze, e sei finito. È l’azione che ha portato il Venezuela al pareggio, passaggio di Donnarumma a Bonaventura che stava correndo verso la propria area, pressione di Martinez, Bonaventura ha sbagliato il passaggio indietro, consegnato palla a Machis e gol. Sia il portiere parigino che il centrocampista fiorentino avevano la possibilità di spazzare via la palla, ma niente, ormai è un movimento che hanno in testa come un codice. Ce ne sono decine di esempi simili. La Lazio ha preso un gol quasi identico a Bologna e se qualcuno è interessato vada a rivedere il 2-0 del Como contro il Pisa di sabato scorso. Lì siamo alle comiche. Rinvio corto e rasoterra del portiere Loria a Marin che, al limite della propria area, gli restituisce il pallone, solo che, su pressione di Bellemo, manda la palla a sbattere sul palo mentre Loria disperato cerca di rincorrerla, e lo stesso Bellemo comodamente l’appoggia in rete. Tutto questo non significa che l’azione da dietro non debba mai iniziare. Sarebbe stupido solo pensarlo. Devi avere un portiere che con i piedi vale quanto un centrocampista, tipo il vecchio Pepe Reina o Maignan (Donnarumma no, la sua forza è fra i pali), e un “ricevente” che abbia la sensibilità tecnica di Pirlo (qui si chiede troppo, lo sappiamo). Non è invece stupido pensare che ci sono momenti e momenti, situazioni e situazioni, una diversa dall’altra e gli allenatori e i loro giocatori devono saperli interpretare. Il calcio insegna che le mode non portano a niente.


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