Non chiamatela maledizione. Non c'entra proprio niente. L'ultima squadra a vincere lo scudetto da campione d'Italia è stata la Juventus. Fu il nono di fila. Era la stagione 2019-20, quella del Covid. Con Maurizio Sarri in panchina. Da allora, l'impresa non è riuscita più a nessuno. Ma non c'è stata alcuna macumba. Sono state situazioni profondamente diverse. La Juve scudettata cambiò di nuovo tecnico e con Pirlo non fu mai in corsa. Quella che ci andò più vicino fu la prima Inter di Inzaghi (che raccolse l'eredità di Conte). Senza riaprire vecchie ferite, decisivi furono prima un derby perso in rimonta con doppietta di Giroud e un po' di polemiche per i cambi precipitosi, e poi la papera di Radu a Bologna. Alla fine festeggiò il Milan che l'anno dopo si smarrì e andò in Champions solo grazie ai dieci punti di penalizzazione della Juventus. Fu la stagione trionfale del Napoli di Spalletti che cominciò a brindare con mesi d'anticipo e nei fumi della festa ci rimase anche l'anno dopo. Senza più Spalletti (che si lasciò malissimo con De Laurentiis), senza più Giuntoli. Senza più Kim e con un allenatore – Rudi Garcia – che sin da subito parve inadeguato. Fu poi sostituito da Mazzarri che lasciò il posto a Calzona (che mio padre al mercato comprò).
Tutto questo per dire che sono precedenti che c'entrano poco e niente con l'Inter di Marotta e Inzaghi. Formazione che lo scorso anno ha dominato il campionato e che quest'anno è unanimemente considerata la più forte per distacco. Eppure sin da quest'estate Inzaghi va ripetendo che bisogna fare attenzione a quel che è successo al Napoli lo scorso anno. Come se avesse annusato qualcosa. Però, oggettivamente, non c'è nulla in comune tra le due situazioni. L'Inter non ha cambiato niente. Né giocatori. Né allenatore. Né direttore sportivo. Ha cambiato proprietà, è vero, ma è stato un cambio che non ha avuto ricadute sulla squadra. Anzi, si è passati da una proprietà indebitata a una che debiti non ne ha. E poi il referente societario Marotta era e Marotta è rimasto. Si è anche rinforzata con gli arrivi di Taremi e Zielinski. Alzi la mano se qualcuno conosce un interista che abbia recriminato per le partenze di Sanchez, Klaassen o Cuadrado. Fatichiamo a capire il senso dell'allarme lanciato da Inzaghi.
A meno che il tecnico non si sia reso conto che è diminuita la fame. Un allenatore lo sente, lo vede. Le facce parlano. Anche gli atteggiamenti, l'attitudine al sacrificio. Domenica sera il Milan aveva gli occhi della tigre, l'Inter no. Eppure pochi giorni prima gli uomini di Inzaghi avevano affascinato per come avevano tenuto il campo a Manchester. Ecco, forse inconsciamente lo spogliatoio dell'Inter si è sintonizzato sulla Champions. Quella finale persa due anni fa contro il City ha cambiato la storia nerazzurra. Li ha resi consapevoli della propria forza. È stata fondamentale per la conquista dello scudetto. Ma ha anche lasciato un conto in sospeso. Non sono scelte che fai razionalmente. Men che meno a settembre. Sono sensazioni che un allenatore percepisce. E in qualche modo prova a lanciare l'allarme.