
Eraldo Pecci, ha letto quello che ha detto Gasperini?
«Sì, lo sottoscrivo dalla prima all’ultima riga. Sono anni che lo sto dicendo anch’io».
È cambiato il mondo ed è cambiato il calcio.
«Non vorrei passare per nostalgico, ma un tempo il giocatore che perdeva un contrasto cercava di rialzarsi subito perché non gli piaceva sentirsi meno forte del suo avversario».
Una questione di dignità?
«E di serietà, aggiungerei. Prima ci conoscevamo meglio, fra i giocatori c’era un rapporto diverso. Se uno si buttava e qualche mese dopo lo incontravi di nuovo andavi da lui e gli dicevi: “Oh, ma che ti butti? Ma sei una m...”».
Nel cambiamento di epoca ci sono anche nuove regole.
«Regole che ora puniscono i giocatori seri e danno vantaggi ai meno seri».
Responsabilità?
«Cominciamo dagli arbitri, molti non conoscono le dinamiche del calcio. Come dice Gasperini, è impossibile saltare come pinguini, ma bisogna aggiungere che nessuno dà loro un aiuto».
Passaggio-chiave. Invece di aiutarli, li fregano.
«Michelotti, e parlo di un arbitro di livello europeo, mi diceva prima di ogni partita: “Dammi una mano”. Non so come è oggi il rapporto arbitri-giocatori, allora era schietto, anche se di errori ne commettevano pure a quei tempi».
E ne commetteranno sempre.
«Un arbitro deve fischiare quello che vede, non quello che immagina. Agnolin era uno di questi, se vedeva un rigore al 90' lo fischiava. Ci sono anche altre responsabilità».
Da parte di chi?
«Nostra, intendo di chi commenta le partite, parla in tv o scrive sui giornali. A volte sento e leggo: “Si è guadagnato il rigore”. No! Lo ha rubato il rigore. Oppure: “Il contatto c’è”, ma con quel contatto non sarebbe caduto nemmeno un topolino».
Il rimedio?
«Ti becco a tuffarti? Tre mesi di squalifica e 10.000 euro di multa al tuo allenatore. Vedi che poi la smettono».
Punire anche gli allenatori?
«Certo, perché l’allenatore gode se gli danno un rigorino o una punizioncina a favore. Invece dovrebbe dire ai suoi che non è il caso di buttarsi».
Ha mai conosciuto uno così?
«Una volta, dopo una partita, sentii Radice che chiedeva a un suo giocatore: “Sei scivolato o ti sei buttato?”. Detestava i tuffatori».
E di calciatori non tuffatori?
«Se parliamo di quelli di oggi, dico Salah: prende un sacco di pedate, ma tante, però non si butta mai».
Uno dei suoi tempi?
«Tanti erano così. Faccio due esempi, Gigi Riva e Bonimba: quando li prendevano per la maglia non si fermavano a chiedere una punizione, ma ti rifilavano una gomitata nei denti».
Torniamo ai tre mesi di squalifica. Sono tanti, non crede?
«No. Il calcio è un gioco e uno sport allo stesso tempo, se tu ne tradisci i valori vuol dire che non te ne frega niente. Se vinci con l’inganno e fai più soldi, resti un mezzo uomo. L’esempio che danno ai bambini è terribile, ora anche i ragazzini si buttano per cercare il rigore. Il danno che certi giocatori stanno facendo al gioco del calcio è enorme».
Gasperini dice che l’Italia sta contagiando l’Europa.
«Può darsi. Nel nostro campionato vedo sceneggiate assurde, giocatori che stramazzano al suolo».
Anche trent’anni fa qualcuno si buttava...
«Sì, è vero, ce n’era forse uno per squadra, adesso la “moda” è dilagata».
Ma il Var è un aiuto o no per l’arbitro di campo?
«Come lo usiamo noi è un problema. Se un collega, davanti alla tv, ti chiama da Lissone e ti dice che quella palla è fuori di 40 centimetri non commette un errore perché esce dal protocollo, al contrario ti dà un buon consiglio per evitare un errore assai più pesante, una di quelle sviste che guastano la partita. Viceversa, se un arbitro sbaglia in campo, lo capisco. Se sbaglia seduto davanti al monitor, capisco che la gente possa pensare ad altre cose».