Gli opinionisti risultatisti
Esaltano il nuovo, ne parlano in tv, alla radio, sui social e anche in famiglia: la novità è trendy. Nel frattempo demoliscono il vecchio e vincente pur se tra mille peripezie - la società azzerata dal giudice, l’americano geloso, il miliardario russo finanziariamente e emotivamente instabile - riesce a cavarsela alla grande.
Cavalcano l’onda popolare, il dissenso tifoso, trascurando le difficoltà che il loro pupillo del momento potrebbe incontrare salendo di uno o più gradini. Una volta raggiunto lo scopo - il nuovo promosso, il vecchio nell’indifferenziata - trascorrono i primi mesi alternando irrefrenabili entusiasmi per ogni vittoria a difese raramente convinte, ma ugualmente apprezzabili, nella sconfitta.
Che noia la coerenza. Anzi, no.
Quando le cose precipitano, però, con un bel balzo scendono dal carro del neoperdente e cominciano a tirargli pietre alla cieca, novelli Poliscemi.
Sono gli opinionisti risultatisti, gli infedeli - giornalisti, talent, ex giocatori -, quelli che promuovono il bel calcio alla Guardiola, o alla Bielsa, ma innestano con abilità la retromarcia non appena il presunto produttore di spettacolo esce con le ossa rotte dal campo, il giudice supremo.
Quello che sta accadendo da giorni a Thiago Motta, virtualmente esonerato dagli opinionisti risultatisti, è professionalmente ridicolo. Ma non nuovo.
Da maggio dello scorso anno a ieri, Thiago non è improvvisamente impazzito, e non ha alzato il gomito: ha provato a dominare con le idee e un carattere particolare qualcosa o qualcuno che è più grosso e forte di lui. Resta tuttavia un potenziale valore del calcio italiano e europeo e allora perché non provare a indicare dove ha sbagliato e dovrebbe correggersi pur senza abbandonare del tutto i princìpi che l’hanno reso una scommessa intrigante?
Ho seguito tutte le partite del suo (e mio) Bologna, dal primo al 95esimo minuto. Ho visto crescere la squadra in personalità e gestione di situazioni e momenti, migliorare gente come Beukema, Lucumi, Calafiori, Zirkzee, Orsolini, Moro, Posch, Fabbian, El Azzouzi, Saelemaekers. Ho registrato i mugugni dei dirigenti coi quali aveva smesso da mesi di confrontarsi. Ma ho notato che in Thiago c’è del buono. Allo stesso tempo ho detestato il trattamento che gli OR hanno riservato a Allegri, simile a quelli subiti in precedenza da Ancelotti al Napoli, all’Everton e ultimamente al Real, e da Mourinho negli ultimi mesi alla Roma.
Motta juventino l’ho accompagnato fin dal primo giorno con alcune riserve: non mi è piaciuto con Rabiot e Danilo, ho faticato a comprendere il passaggio della fascia di capitano su otto differenti braccia (lo faceva anche a Bologna, che non è la Juve), così come i cambiamenti sistematici di posizioni e formazioni.
Ma non ho mai pensato che fosse scarso, tutt’altro. Per questo al posto di Elkann continuerei a investire su di lui, sempre che abbia capito cosa è accaduto.
Gli opinionisti risultatisti sono anche quelli che adesso disprezzano Gasperini dandogli dell’intrattabile. Non mi soffermo sui fantastici risultati che ha ottenuto o sui milioni (centinaia) che ha fatto guadagnare ai club: ma uno che resta dieci anni alla Juventus (giovanili), cinque al Palermo e al Pescara, sette al Genoa e nove all’Atalanta proprio “impossibile” non deve essere, non è. Possono bastare l’uscita dalla coppa e un giudizio forte su un giocatore per far precipitare le sue quotazioni?
Sul “vecchio” Ranieri e su Conte potrei scrivere romanzi: per loro parla da sempre il campo. Di Italiano tesso le lodi da una vita: non ha lo standing da big ma come allenatore è tra i migliori in assoluto.
E Baroni? Anche quando veniva esonerato da club improbabili, Allegri lo inseriva tra i più capaci. A 61 anni ha avuto l’occasione, pur se la squadra non è da primissimi posti, e sta dimostrando di saperci fare.
La verità insindacabile è che lo spettacolo lo fanno i risultati e i risultati non arrivano senza le motivazioni e le giocate.
Da un quarto di secolo viviamo sotto la dittatura dell’Auditel, discutibile sistema di misurazione dell’attenzione della gente (ascolto) che non concede spazio alla sperimentazione, al tentativo di fare qualcosa di diverso senza guardare solo al profitto. La poesia ai poeti.
