Febbraio ‘90, una radio mi invita a parlare di allenatori. Avendo visto per pochi minuti una partita del Cesena, rispondo che Marcello il bello mi sembra anche bravissimo e sono convinto che farà tanta strada. Un paio di giorni dopo ricevo la telefonata del non ancora 42enne Lippi: non ci conoscevamo e per questo si dice piacevolmente sorpreso, mi ringrazia. Chiacchieriamo, ci risultiamo simpatici. Due settimane e sono a Cesena. Lo intervisto per il Guerin Sportivo: ci incontriamo in un bar a pochi chilometri dall’uscita dell’autostrada. Un caffè e scatta l’amicizia, al punto che nel luglio del ‘92 trascorro una dozzina di giorni con la famiglia nella sua Viareggio: quando mio figlio compie due anni, festa in spiaggia con Simonetta, la moglie di Marcello, Stefania, 15 anni e già bellissima, Davide, che da tempo fa l’agente di calciatori, e gli amici.
Nell’inverno della disoccupazione – Lugaresi lo licenziò piangendo, unico caso nella storia del calcio – Marcello conosce Luciano Moggi a Bologna in un locale di proprietà di mio padre. Passano gli anni, lui si afferma: Lucchese, Atalanta, Napoli, Juve, cinque stagioni fantastiche, Inter (scelta sbagliata), di nuovo la Juve, la Nazionale, il favoloso Mondiale 2006, l’errore di tornare in azzurro, la Cina. Marcello ha vinto tutto quello che è possibile vincere: gli manca giusto un Europeo con la Nazionale. Lo considero l’allenatore perfetto, leader naturale, orgoglioso, schietto, permaloso. Questo è un omaggio fin troppo personale, forse, alla sua grandezza e unicità.