Lione shock, tutti in vendita: ecco gli affari che si possono fare

Il club transalpino è a rischio retrocessione a causa di centinaia di milioni di debiti: tutti i dettagli e gli scenari
Lione shock, tutti in vendita: ecco gli affari che si possono fare© Getty Images
Alessandro F. Giudice
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La crisi del Lione non è frutto del caso, ma il risultato di scelte di gestione rivelatesi nefaste. Per 35 anni il padre-padrone del Lione è stato Jean-Michel Aulas, uomo di grande carisma che l’aveva rilevato in seconda divisione portandolo a dominare la scena francese vincendo sette titoli di Ligue 1 consecutivi – tra il 2002 e il 2009 – e costruendo la squadra femminile più forte d’Europa, vincitrice di otto titoli europei. Anche nella gestione Aulas non erano mancate le crisi: dopo i fasti del decennio d’oro, il club era scivolato in una crisi profonda schiacciato da perdite ingenti, ma il patron aveva saputo trovare la via d’uscita costruendo uno stadio moderno, aperto ai grandi eventi, diversificando i ricavi ma soprattutto imboccando la strada della sostenibilità. Non più acquisti costosi, ma investimenti nei giovani e nella capacità di valorizzarli, anche economicamente. Per anni Aulas ha combattuto una guerra impari contro il PSG sostenuto dal Qatar, ma è rimasto convinto che una società di calcio debba essere gestita come qualsiasi altro business, capace di generare le risorse con cui finanziare la crescita ed essere competitivo.

LIONE A RISCHIO RETROCESSIONE A FINE STAGIONE

Il percorso virtuoso si è interrotto: Aulas ha ceduto all’americano Textor ma non si può dire che i problemi non fossero già in gestazione. Negli ultimi quattro anni il Lione ha realizzato 300 milioni di perdite, nonostante ricavi di tutto rispetto: 276 milioni nel 2022/23 senza il player trading da cui ha ricavato 332 milioni in quattro anni. Ciò non è bastato. Il costo della rosa è molto alto (156 milioni, il doppio degli anni più virtuosi della gestione Aulas) ma soprattutto la gestione finanziaria paga il prezzo di investimenti molto azzardati. Proprio in piena di crisi della gestione ordinaria, il club si è imbarcato in investimenti immobiliari di dubbia coerenza come la costruzione dell’Arena, un impianto coperto destinato alla gestione di eventi e finanziato interamente a debito. Il tentativo di riconvertire il club in un gruppo di entertainment, già nelle corde della gestione Aulas, ha appesantito notevolmente la finanza drenando risorse che l’azionista non è stato finora in grado di apportare.

La situazione è delicata perché la capacità di Textor di coprire in tempo utile a evitare la retrocessione (provvedimento cautelare dei regolatori francesi, per evitare danni peggiori) dipende da condizioni difficili: la cessione, per 40 milioni, di una quota del Crystal Palace con diritti di voto di minoranza, la quotazione del gruppo in borsa cioè il tentativo di trovare risorse sul mercato in un momento di grave asfissia. La vicenda del Lione deve insegnare alcune cose. Anzitutto, la gestione di un club (come di qualsiasi azienda) deve tendere almeno all’equilibrio economico, condizione per la sopravvivenza di medio periodo. Secondo: in finanza il debito è sempre un fardello ingombrante che espone a rischi operativi e toglie flessibilità alle scelte aziendali. Terzo: il falso mito degli investimenti immobiliari va trattato con molta cautela, fare debito per appesantire il bilancio di asset immobiliari ha senso se da questi arriva un contributo al miglioramento della gestione operativa. Altrimenti, meglio un bilancio leggero. Quarto: il debito è gestibile se le scadenze sono lunghe ma se una fetta importante di esso diventa esigibile – come nel caso del Lione nell’ultimo anno – il drenaggio di cassa richiede apporti di capitale che non sempre l’azionista è in grado di realizzare con rapidità.


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