Quel pasticciaccio brutto di Samardzic

Leggi il commento sulla trattativa sfumata tra l'Inter e il centrocampista dell'Udinese
Roberto Beccantini
3 min

Il pasticciaccio brutto di Lazar Samardzic è molto indicativo. Talento mancino, tedesco di Berlino naturalizzato serbo, 21 anni, mezzala di ruolo e tipico atipico di vocazione. Reduce da un campionato da 37 presenze, 5 gol e 3 assist, l’Udinese lo aveva ceduto all’Inter per una ventina di milioni, compreso il centrocampista Giovanni Fabbian.

La trattativa saltata con l'Inter

Accordo, il 29 luglio. Formula, prestito oneroso con obbligo di riscatto. Visite mediche concordate, effettuate e superate. Prime parole famose: «Felice? Di più: felicissimo». Poi, d’improvviso, un segnale di foratura, quindi un indizio di «sì, però, ma» e infine lo scroscio niagaresco della frattura. Arrivederci senza grazie. Quel «lazzarone» di Lazar era rappresentato da papà Mladen e da Rafaela Pimenta, erede dell’impero di Mino Raiola. L’Inter, da Beppe Marotta e Piero Ausilio. Ciò che è successo, o sembra che sia successo, è stato scritto e riscritto. Sarebbe stato il padre ad avvelenare i pozzi, non si sa bene in base a che titolo, se non per ripicca nei confronti della signora. La quale ha subito preso le distanze, dal momento che i patti erano chiari, e non che dai colloqui fosse emerso un cavillo a graffiarne l’essenza, a sporcarne l’evidenza. 

Lo strano silenzio di Samardzic

Una cosa è strana. Il silenzio del giocatore. Non sarà un veterano, ma è maggiorenne. Ed è sempre l’atleta il «proprietario», e non solo il protagonista, dell’operazione. Alzi la mano chi, nei suoi panni, non avrebbe suggerito l’epilogo. E cioè: cara signora Pimenta e caro papà, ringrazio la famiglia Pozzo ma voglio l’Inter e dunque, alle condizioni economiche stipulate e condivise, si faccia la «mia» volontà. Ecco il punto: la sua. Viceversa, anche in questo caso si ricava l’impressione che al centro di tutto, e di tutti, non vi fosse il prestatore d’opera, ma i suoi ciambellani, i suoi Rasputin. E che toccasse a loro, uniti o divisi, indicargli il domicilio, non già a lui ribadirlo. «Dopo», Samardzic junior non è mai uscito allo scoperto. Salvo riapparire la sera del 20 agosto, al 46’ di Udinese-Juventus 0-3, precettato d’urgenza al posto di Oier Zarraga. I topi d’archivio vi faranno una testa così con le storie di contratti siglati sulla parola, quando bastava uno zio o un fratello al seguito per scatenare il fastidio di Giampiero Boniperti. Il vincolo, che aveva favorito la romantica diffusione di bandiere e pennoni, venne abolito nel 1981. E la sentenza Bosman, nel 1995, trasferì poteri, non necessariamente o esclusivamente indirizzi.

Le unghie dei club e gli artigli delle agenzie

Oggi, a mercato libero, il calciatore deve stare attento a non passare da una «schiavitù» all’altra, dalle unghie dei club agli artigli delle agenzie. E allora, più che un tetto alle commissioni serve la forza del singolo. Facile da esercitare se ti chiami Leo Messi o Cristiano Ronaldo; meno, se non lo sei. Bando agli alibi, comunque. Samardzic era tranquillamente in grado di supportare la firma, se ci teneva. E fare del papà un diligente notaio e non una turbativa d’asta. Ammesso che la verità sia la realtà.


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