De Ligt dopo Cristiano Ronaldo, una filosofia che cambia

Higuain, CR7 e Matthijs sono stati il punto più alto del neoespansionismo bianconero: ma era già un impero in decadenza
De Ligt dopo Cristiano Ronaldo, una filosofia che cambia© Juventus FC via Getty Images
Roberto Perrone
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Adesso che parla bene l’italiano ed è cresciuto nel rendimento dopo la prima metà difficoltosa di apprendistato juventino, Matthijs De Ligt, il difensore più pagato nella storia dell’Italia calcistica, è alla danza d’addio. Se partirà, la Juventus da un punto di vista finanziario ci guadagnerà, ma il calcio è anche sport e quindi le domande avanzano risolute: De Ligt è stato un affare anche dal punto di vista tecnico? Quanto è servito alla Juve? È giusto cedere un ragazzo che il 12 agosto compirà 23 anni, con tutta la vita davanti?  

 Rispondiamo subito all’ultima domanda. Nel calcio del Terzo Millennio, soprattutto in quello nostrano, il concetto di giusto o ingiusto è relativo. Il giovane De Ligt è il “pezzo” bianconero più redditizio e, come sappiamo, l’attenzione al bilancio è fondamentale, ancor di più in questo frangente storico. Il tifoso fa fatica a comprendere (già comprende più di un tempo, comunque) ma un’azienda deve considerare tutti gli aspetti. De Ligt è costato 75 milioni più bonus. Davanti a lui, nel paradiso monetario dei difensori ci sono solo Harry Maguire (87) e il connazionale Virgil Van Dijk (85). Oltre ai 100 milioni (almeno) di incasso c’è il risparmio sullo stipendio. Il giovanotto è il più pagato della squadra: 8 milioni. Non è casuale che, dei primi due in classifica, uno sia andato (Dybala, 7,5) e l’altro sia in procinto di, malgrado l’investitura di Max Allegri che, a fine maggio, indicò nell’olandese e in Locatelli i due leader prossimi venturi. Qualche attrito tra allenatore e giocatore c’è stato, nulla di insanabile. Max è un pragmatico, supera la ruggine per arrivare al risultato. Poi è aziendalista e non considera nessuno incedibile, purché arrivi un sostituto soddisfacente. Eh già.

Veniamo al lato tecnico. De Ligt alla Juventus doveva alzare il livello di competitività. Ma non ha lasciato il segno. Il suo destino è stranamente (ma non troppo) intrecciato a quello di Cristiano Ronaldo. CR7 arriva nell’estate 2018, dopo aver incantato lo Stadium il 3 aprile con una doppietta: il secondo gol, in rovesciata, da cartolina, strappa la standing ovation. Secondo la leggenda il clamoroso trasferimento comincia a cementarsi proprio quella notte. Più o meno un anno dopo, il 17 aprile 2019, a salire in cielo per segnare (di testa), è Mattijs De Ligt: l’Ajax elimina, dopo il Real Madrid orfano di CR7, pure la Juventus con CR7. Secondo la leggenda, Andrea Agnelli decide di separarsi da Allegri per seguire una via più brillante al successo, proprio dopo aver assistito ai ghirigori dei giovani Lancieri. Mah. Quell’Ajax è una splendida cicala che canta per un mese. Poi la primavera di Amsterdam finisce bruscamente.  
De Ligt rappresenta la punta del neo espansionismo bianconero. Fino al 2016, la squadra era stata costruita cercando l’equilibrio tra investimento economico e tecnico. Insomma, non il “nome” sul mercato, la ciliegiona sulla torta, ma l’equilibrio dei sapori. Poi nel 2016 arriva Higuain, nel 2018 Ronaldo, nel 2019 De Ligt: tutti enormi investimenti. Nessuno di questi riesce a portare Madama dove vuole, cioè al trasloco del dominio dall’Italia all’Europa. Anzi, dal 2017, finale di Champions persa a Cardiff dal Real Madrid ronaldiano, i piazzamenti peggiorano: da tre anni la Juventus esce agli ottavi con avversari di caratura inferiore, ma di tempra superiore. I tre giocatori simbolo del neo espansionismo, Higuain (90), Ronaldo (112 più maxi stipendio) e De Ligt (75), chiudono con ampio in anticipo sul previsto lasciando un segno relativo. Higuain parte malvolentieri, CR7 e il giovanotto olandese invece no: entrambi manifestano l’idea di abbandonare la nave. Come l’andata anche il ritorno avviene a un anno di distanza: Ronaldo 2021, De Ligt 2022.

 

Il loro non è un fallimento personale, al di là dei momenti alti/bassi. La qualità non è in discussione, è l’incastro nella Juventus a non riuscire, il rapporto singolo-squadra a risultare in perdita. Come CR7 anche De Ligt si è trovato in un impero in decadenza e secondo i piani juventini, non solo doveva impedirne la fine, ma addirittura rilanciarlo. Non poteva riuscirci. È una “vittima” della politica di espansionismo bianconero, quando a Torino hanno smesso di costruire dal basso, per calare i campioni dall’alto. La Juventus, come club che hanno speso cifre anche più grandi, ha pensato che con il fuoriclasse si vincesse. Funziona, ma non è una regola. Come disse CR7 al momento dell’addio: “Abbiamo fatto grandi cose, non tutte quelle che volevamo”. L’epitaffio vale anche per De Ligt. 


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