Luna Park Barcellona: ma c'è un punto debole

La squadra blaugrana gioca, vince e diverte: Flick l'ha plasmata secondo le sue regole, eppure...
Massimiliano Gallo

Il Barcellona di Flick è una squadra copertina. Perfetta per la promozione del football contemporaneo. Quasi zemaniana nella filosofia. Con quella linea di difesa che a volte combacia con la linea di centrocampo. Come il primo Milan di Sacchi. Allora, però, la regola del fuorigioco era diversa. La bandierina si alzava anche se in fuorigioco c’era un calciatore che non sarebbe mai entrato nell’azione. Regola che cambiarono proprio per disinnescare lo squadrone rossonero. Eppure il Barcellona di Flick gioca ancora così. E funziona. 

Barcellona, sempre il gol

È una delizia per chi ama il calcio super offensivo. Col Barça non ci si annoia mai. Può fare gol in qualsiasi momento. Tra le quattro semifinaliste di Champions è quella con il miglior attacco: trentasette reti. Ma, attenzione, i gol può anche subirli più o meno con la stessa facilità. Sempre tra le quattro, è la formazione con la difesa più battuta. Diciassette gol subiti in dodici partite. Non pochi. Tre dal Dortmund, quattro dal Benfica, due dall’Atalanta (e non solo). Tanto per rendere l’idea, l’Inter ne ha subiti cinque, l’Arsenal sei. Il Psg si avvicina, con quattordici.

Barcellona a somiglianza Flick

Ecco tra Flick e Luis Enrique qualche punto di contatto c’è. Anche il tedesco è maniacale nel controllo dei suoi atleti. Ogni giorno, prima dell’allenamento, i calciatori devono sottoporsi al rito del peso. I dati vengono registrati e valutati settimanalmente. Nei test medici ha incluso pure l’analisi dentale. «Trasmette autorità» è la voce dallo spogliatoio. Non ama concedere giorni di riposo. Per lui un giorno senza lavoro è un giorno perso. E preferisce avere un rapporto esclusivamente professionale con i calciatori. Non è né vuole essere né il loro padre né l’amico né tantomeno lo psicologo. Lui allena, loro giocano. Siamo adulti, suvvia.


© RIPRODUZIONE RISERVATA

Flick, l'anti-personaggio

A differenza di Luis Enrique, è schivo, non ama la ribalta né lo scontro con i giornalisti. È l’anti-personaggio. Il Barcellona impiegò un mese prima di presentarlo. La stagione è quasi finita e di lui non si ricorda una polemica, una frecciata, un sottinteso. Giusto qualcosina sui calendari della Liga che a suo dire danneggiavano il Barça. Poca roba. Segue tutte le indicazioni del club nella comunicazione. Un sospiro di sollievo per i dirigenti catalani dopo l’esperienza di Xavi. Non si è mai lamentato della rosa, nemmeno nei giorni burrascosi in cui era a rischio il tesseramento di Dani Olmo. Ha sbrogliato la matassa Lewandowski (certo avercene di matasse così) che Xavi non voleva. Ha rivitalizzato Raphinha che è sempre stato fortissimo ma mai decisivo e incisivo come in questa stagione. Ha reso apparentemente semplice la gestione di Yamal nuova stella del calcio mondiale che non ha nemmeno 18 anni. 

Flick, tedesco brasiliano

Tedesco nei modi, brasiliano nel modo di intendere il calcio. In campo non accetta ingerenze. Decide lui come si gioca e con quale filosofia. E non ha alcuna intenzione di cambiarla. Il suo Barcellona conosce una sola legge: segnare un gol più dell’avversario. Fin qui, è andata benissimo. È primo in Liga. Ha battuto tre volte su tre il Real Madrid (e due volte con un punteggio molto largo). E un terzo del triplete lo ha già portato a casa. Ovviamente anche in Catalogna, la patria dell’estetica, a fare la differenza sono i risultati. Qualcuno storce il naso per la difesa ballerina, Flick tira dritto e non si scompone. I risultati sono ampiamente dalla sua parte. Almeno fin qui. 


© RIPRODUZIONE RISERVATA

Il Barcellona di Flick è una squadra copertina. Perfetta per la promozione del football contemporaneo. Quasi zemaniana nella filosofia. Con quella linea di difesa che a volte combacia con la linea di centrocampo. Come il primo Milan di Sacchi. Allora, però, la regola del fuorigioco era diversa. La bandierina si alzava anche se in fuorigioco c’era un calciatore che non sarebbe mai entrato nell’azione. Regola che cambiarono proprio per disinnescare lo squadrone rossonero. Eppure il Barcellona di Flick gioca ancora così. E funziona. 

Barcellona, sempre il gol

È una delizia per chi ama il calcio super offensivo. Col Barça non ci si annoia mai. Può fare gol in qualsiasi momento. Tra le quattro semifinaliste di Champions è quella con il miglior attacco: trentasette reti. Ma, attenzione, i gol può anche subirli più o meno con la stessa facilità. Sempre tra le quattro, è la formazione con la difesa più battuta. Diciassette gol subiti in dodici partite. Non pochi. Tre dal Dortmund, quattro dal Benfica, due dall’Atalanta (e non solo). Tanto per rendere l’idea, l’Inter ne ha subiti cinque, l’Arsenal sei. Il Psg si avvicina, con quattordici.

Barcellona a somiglianza Flick

Ecco tra Flick e Luis Enrique qualche punto di contatto c’è. Anche il tedesco è maniacale nel controllo dei suoi atleti. Ogni giorno, prima dell’allenamento, i calciatori devono sottoporsi al rito del peso. I dati vengono registrati e valutati settimanalmente. Nei test medici ha incluso pure l’analisi dentale. «Trasmette autorità» è la voce dallo spogliatoio. Non ama concedere giorni di riposo. Per lui un giorno senza lavoro è un giorno perso. E preferisce avere un rapporto esclusivamente professionale con i calciatori. Non è né vuole essere né il loro padre né l’amico né tantomeno lo psicologo. Lui allena, loro giocano. Siamo adulti, suvvia.


© RIPRODUZIONE RISERVATA
1
Luna Park Barcellona: ma c'è un punto debole
2
Flick, l'anti-personaggio