Il Barcellona di Flick è una squadra copertina. Perfetta per la promozione del football contemporaneo. Quasi zemaniana nella filosofia. Con quella linea di difesa che a volte combacia con la linea di centrocampo. Come il primo Milan di Sacchi. Allora, però, la regola del fuorigioco era diversa. La bandierina si alzava anche se in fuorigioco c’era un calciatore che non sarebbe mai entrato nell’azione. Regola che cambiarono proprio per disinnescare lo squadrone rossonero. Eppure il Barcellona di Flick gioca ancora così. E funziona.
Barcellona, sempre il gol
È una delizia per chi ama il calcio super offensivo. Col Barça non ci si annoia mai. Può fare gol in qualsiasi momento. Tra le quattro semifinaliste di Champions è quella con il miglior attacco: trentasette reti. Ma, attenzione, i gol può anche subirli più o meno con la stessa facilità. Sempre tra le quattro, è la formazione con la difesa più battuta. Diciassette gol subiti in dodici partite. Non pochi. Tre dal Dortmund, quattro dal Benfica, due dall’Atalanta (e non solo). Tanto per rendere l’idea, l’Inter ne ha subiti cinque, l’Arsenal sei. Il Psg si avvicina, con quattordici.
Barcellona a somiglianza Flick
Ecco tra Flick e Luis Enrique qualche punto di contatto c’è. Anche il tedesco è maniacale nel controllo dei suoi atleti. Ogni giorno, prima dell’allenamento, i calciatori devono sottoporsi al rito del peso. I dati vengono registrati e valutati settimanalmente. Nei test medici ha incluso pure l’analisi dentale. «Trasmette autorità» è la voce dallo spogliatoio. Non ama concedere giorni di riposo. Per lui un giorno senza lavoro è un giorno perso. E preferisce avere un rapporto esclusivamente professionale con i calciatori. Non è né vuole essere né il loro padre né l’amico né tantomeno lo psicologo. Lui allena, loro giocano. Siamo adulti, suvvia.