Quando Napoli sognava con Sentimenti II

Il portiere modenese ha vissuto al Vomero dal 1934 fino alla morte, era uno specialista nel neutralizzare i rigori
Quando Napoli sognava con Sentimenti II
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La tribù del calcio italiano. Quattro sorelle e cinque fratelli, tutti calciatori. Il pallone, per i Sentimenti, è evasione innocente da un presente e da un futuro di povertà dignitosa, da una vita contadina che non concede sogni a Bomporto, piena Emilia, tra vigne di lambrusco, campi, un unico stradone, il ponte sul Panaro e la pianura che si stende senza illusioni. La tribù si riunisce ogni estate, per la squadra del bar Otello, nei tornei a San Giovanni in Persiceto o a Bologna. Arnaldo è il secondo dei fratelli Sentimenti, è apprendista calzolaio e portiere della Pro Calcio a Bomporto. Un giorno del 1934 gli arriva un telegramma e un vaglia di 500 lire. William Garbutt, l’allenatore del Napoli, il primo tecnico moderno nella storia del nostro calcio, gli offre un provino. Garbutt è elegante, impeccabile, è per lui che ancora oggi chiamiamo “mister” gli allenatori. 

IL PROVINO. Sentimenti parte in treno, ci mette quindici ore ad arrivare. Non indossa il paltò, a Bomporto non si usa, e poi non se lo potrebbe permettere. Il provino lo lascia affranto. Tirano in tre: Attila Sallustro, il Veltro, che la stella del varietà Lucy D’Albert sposerà preferendolo all’erede al trono Umberto di Savoia; Carlo Buscaglia, detto “il ciott”, che ha giocato in tutti i ruoli tranne che in porta; e Pietro Ferraris, futuro campione d’Italia all’Ambrosiana-Inter. Sentimenti non ne para uno, ma Sallustro lo rincuora. Ha posizione, gli manca preparazione atletica. Il presidente Vincenzo Savarese gli propone 900 lire al mese più vitto e alloggio in una pensione del Vomero, e gli offre anche mille lire per andare da Armenio, in via Roma, e comprarsi un abito, un cappotto, delle camicie e un paio di scarpe. Arnaldo gli dice che preferirebbe mandarle a casa, e gliene dà altre mille. Prima della notizia, a Bomporto, arrivano i soldi, nella busta consegnata dal postino Enea, che dicono fosse il letterato del paese. La mamma non li vuole, prima deve capire di cosa si tratta. E solo la sera diventerà chiaro che “Noci”, così han sempre chiamato Arnaldo, ce l’ha fatta.

L’ESORDIO. Napoli non la lascerà più. Giocherà oltre 200 partite e per tutta la vita vivrà nella stessa bella casa di via Scarlatti al Vomero, insieme alla moglie, la donna più bella della città allora, i due figli e i ricordi di una storia di riscatto. I ricordi dell’ultima Napoli della Belle Époque, delle serate illuminate dai lustrini delle cantanti di rivista. Ce n’è una, francese, che al Teatro Diana intona “Cherì, riscaldami coi tuoi baci, solo così mi piaci, cherì”. Arnaldo si incanta, e da quel giorno lo chiamano così, Cherì. Il ricordo dell’esordio, il 25 novembre 1934, al posto del “giaguaro” Giuseppe Cavanna. Allo stadio Ascarelli il Napoli batte il Brescia 2-0, è un segno. Ha 19 anni, ma non prende gol all’esordio. Ha un gran senso della posizione, ha talento, sicurezza e coraggio nelle uscite.

BANDIERA. Gioca 12 partite in quella prima stagione, poi ne passa due come riserva di Mosele. Il “Comandante” Achille Lauro, presidente del Napoli dal 1936 al 1940, lo prende in simpatia. Un giorno gli parla di un’offerta della Juventus, che mette sul piatto 200mila lire e gli promette un ottimo ingaggio. Lauro gli fa capire che è libero di andare se vuole, ma sarebbe contento se rimanesse. Arnaldo resta. Napoli, dice, è come una seconda mamma: anni dopo l’avrebbe detto anche Diego Maradona.

I RIGORI. Diventa titolare nel 1937, mantiene il posto per nove stagioni di fila. È un para-rigori, leggenda vuole che ne abbia neutralizzati trentasei in carriera, nove consecutivi. Ferma Piola, Meazza, Frossi, Bernardini, tra gli altri. Il 17 maggio 1942, poi, all’Ascarelli arriva il Modena, che ottiene un rigore. “Noci” ne ha parati sei quell’anno, e nessuno fra gli emiliani vuole presentarsi sul dischetto col rischio di allungare l’elenco. “Sentimenti, tiralo tu”. Sentimenti? Sì, Lucidio, in famiglia Cochi, fratello minore di Arnaldo, che gioca in porta ma qualche volta anche in attacco e alla Juventus qualche anno dopo sarebbe stato schierato un paio di volte da ala destra. Arnaldo lo provoca, Lucidio non si fa intimorire. «Tiro forte, non metterci le mani che te le spezzo» dice. Segna e Cherì lo insegue per tutto il campo. Una ventina di minuti prima l’arbitro fischia un rigore al Napoli e tutto lo stadio vuole che sia lui a batterlo. «Ma io feci cenno di no, non avevo i piedi di Cochi e poi non me la sentivo», ha raccontato. Lo tira Verrina ed è 1-0. Alla fine il Napoli vincerà 2-1. Sentimenti, che nel 1938 subì un gol da Raf Vallone, il futuro attore che giocava nel Grande Torino, rimane imbattuto per 800 minuti nella fase preliminare di Centro-Sud del campionato 1945-46. Rimane soprattutto, insieme a Sallustro, il primo idolo di Napoli. E nessuno l’ha mai dimenticato.


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