Alenichev: il fiore non colto di Roma e Perugia

Arrivò in Italia nel 1998, sognava una Ferrari e si intendeva con Totti, ma segnò appena 7 gol in 18 mesi. Vinse poi Coppa Uefa e Champions con il Porto
Alenichev: il fiore non colto di Roma e Perugia
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Si presenta a Roma nell’estate 1998 con gli occhi azzurri e spaesati. Arriva con il premio di miglior giocatore di Russia 1997 e un sogno: comprarsi una Ferrari, anche di seconda mano. Dmitri Alenichev resta però un fiore non colto nella Roma di Zeman. Conosce tutto del campionato italiano e dei compagni di squadra, Shalimov e Kolyvanov gli hanno ampiamente parlato del boemo che hanno conosciuto nelle stagioni della miglior Zemanlandia a Foggia. «È bravissimo, non devo gestirlo in maniera diversa da quello che è, ovvero un centrocampista di costruzione. Giocherà dove servirà di più», spiega il tecnico. «Ho giocato da ala e da mezza punta, ma preferisco il ruolo di centrocampista centrale», racconta durante la conferenza di presentazione. Nasce in piena guerra fredda, a Velikie Luki, antica fortezza a difesa di Velikij Novgorod e Pskov, dove poi sarà eletto come deputato del partito Russia Unita nel 2007, nodo ferroviario per questo distrutto negli scontri fra la Wehrmacht e l’Armata Rossa tra il 1941 e il 1942, cresce nella Mosca post dissoluzione dell’Unione Sovietica. Leader del centrocampo della Lokomotiv prima e dello Spartak poi, di cui diventa capitano, affronta più di dieci derby contro il Cska, la squadra un tempo dell’esercito. Si prende anche la soddisfazione di realizzare una doppietta nel 3-1 del 1996 con la maglia dello Spartak, un tempo la “squadra del popolo”, simbolo sportivo di un sindacato operaio che si richiama nel nome allo schiavo romano ribelle Spartaco. 

QUESTIONE DI FEELING. A Roma, Totti ne esalta la qualità tecnica, Alenichev è uno di quei giocatori che con la palla potrebbe fare quel che vuole. Funziona anche la prima partita al fianco di Montella, che con il russo si trova a occhi chiusi. In giallorosso segna complessivamente quattro gol in Coppa Uefa, compresa la tripletta nel 7-0 al Vitoria Setubal nel 1999 che rimane la più larga vittoria europea della Roma, uno in Coppa Italia e due in campionato. Ma il primo cambia la storia di una partita memorabile, che fa emozionare perfino Zeman. «Ho visto la Roma più bella dell’anno, nella prima mezz’ora è stata perfetta – dirà il tecnico –. Forse è stata la partita più coinvolgente della mia gestione». All’Olimpico, contro la Fiorentina, in nove contro dieci dopo le espulsioni di Di Biagio e Candela, al minuto 89 si scatena un finale da romanzo. Bartelt, con quel volto da fotoromanzo, vede il russo al centro dell’area: Padalino è in ritardo, il pareggio è servito. Non contento, l’argentino farà segnare anche Totti per il gol della vittoria.

RECORD CON MOU. Dopo le 7 reti in 43 presenze, nel gennaio del 2000 viene ceduto al Perugia in cambio del giapponese Nakata. In Umbria si ripete la storia vissuta a Roma, ma il futuro ha in serbo per lui un incontro decisivo con José Mourinho. Al Porto vive due stagioni storiche. Diventa il primo calciatore russo a conquistare Coppa Uefa e Champions League, e da protagonista assoluto. Segna il secondo gol contro il Celtic, su passaggio di Deco, e chiude il 3-0 al Monaco con un tiro al volo sul cross deviato di Derlei. È il terzo giocatore dopo Ronald Koeman e Ronaldo a segnare in due finali consecutive di due diverse coppe europee. Ma il finale di carriera vuole celebrarlo a casa, allo Spartak Mosca, la squadra per cui tifava da bambino.


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