Odoacre Chierico: "Noi, la Roma, siamo stati una famiglia"

Parla il gemello "rosso" di Bruno Conti: "C'era un papà come Dino Viola e una mamma come Flora, sua moglie"
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Il gemello rosso di Conti, il dodicesimo di lusso della Roma più forte di tutti i tempi. Odoacre Chierico è stato e continua a essere un personaggio iconico del calcio anni ’80, tanto da apparire in diverse pellicole cinematografiche e da essere uno dei pochi calciatori laureati (in veterinaria) della storia. Il Rosso poteva essere un talento dell’Inter, con cui esordì in A nel 1978, ma finì per diventare un idolo a Roma, la sua città d’origine dove è nato pure il figlio Luca oggi promessa del Genoa che lo ha girato in prestito alla Reggina. Chierico, che coniò il soprannome Principe per Giannini, era una delle anime più forti dello spogliatoio di Liedholm e grazie ai suoi cross dal fondo ha permesso a Pruzzo di scalare più volte la classifica dei bomber. Lasciata la Roma andò all’Udinese poi Cesena, Ascoli, Barletta, Gubbio prima di chiudere e passare al calcio a 5 nel Marino insieme a Nela. Da allenatore ha lavorato, tra le altre, a Pomezia e a Potenza prima di diventare il tecnico delle giovanili della Roma. Un ruolo che ha deciso di lasciare proprio per permettere al figlio di crescere senza l’ombra del papà campione.

Stasera c’è Ajax-Roma, una sfida quasi inedita. Lei l’ha affrontata in amichevole due volte. E la prima volta in quel torneo c’era anche Cruyff.

"La ricordo benissimo, era il quadrangolare con Feyenoord e Atletico Mineiro ed era l’ultimo anno di Liedholm. Cruyff giocava col Feyenoord e nonostante avesse quasi 40 anni è stato un piacere affrontarlo per la prima e unica volta. Giocava da libero, quasi da fermo. Ci hanno sconfitto ai rigori e siamo arrivati secondi. Con l’Ajax abbiamo vinto 3-1, eravamo molto più forti. Dico solo che a centrocampo c’eravamo io, Cerezo, Ancelotti e Falcao. Era l’alba della stagione che ci portò poi alla finale di Coppa dei Campioni".

Un anno dopo l’Ajax venne all’Olimpico.

"E Cruyff era appena diventato allenatore. Era l’amichevole che chiudeva l’anno. C’erano giocatori all’epoca giovani come Koeman e Rijkaard. Fu una grande emozione perché segnò la fine di un’epoca con l’addio di Falcao, il mio e di tanti altri".

Come mai non è rimasto alla Roma?

"Fu una grande stupidata lasciare la Roma a 25 anni, potevo diventare il capitano. L’anno prima mi voleva il Milan, dove erano andati pure Liedholm e Di Bartolomei, e io gli ho detto che se lo potevano scordare. Poi è arrivato Eriksson che era innamorato di altri giocatori. Mi voleva la Lazio, ma nemmeno ci ho pensato. Sono andato ad Udine e da lì in poi è stata tutta un’altra storia purtroppo".

Che poi in quella stagione, a proposito di quarti di finale, c’era stato quello perso col Bayern in Coppa delle Coppe.

"Sì, ma quella era un’annata storta nonostante avessimo una grandissima rosa. Si fecero male Falcao e Cerezo, c’era un modo diverso di giocare con Eriksson. Arrivammo settimi, un’anomalia per quella Roma. La partita col Bayern fu senza storia sia all’andata sia al ritorno. Era l’inizio di un nuovo ciclo".

Ben più importante la finale col Liverpool. Come sarebbe cambiata la storia internazionale della Roma quel giorno?

"Sarebbe cambiato tutto. La Roma sarebbe diventata una grandissima pure nel mondo e avrebbe trovato la forza magari per vincerla anche l’anno successivo. Probabilmente sarebbe cambiato anche il mio destino".

Più un rimpianto non aver potuto battere il rigore col Liverpool o non aver potuto giocare quel Roma-Lecce nel 1986?

"Il rigore mancato ancora me lo sogno ogni notte. È stato il mio più grande rimpianto, qualcosa che ha condizionato la mia vita anche dopo. Magari l’avrei sbagliato, però avremmo avuto una chance in più di poter cambiare la storia della Roma".

E invece il suo ricordo personale più bello nella Roma?

"Tutti i giorni erano belli perché eravamo un gruppo di amici, ricordo in particolare le sfide con la Juve. In quella nell’anno del tricolore segnai mentre l’anno dopo ho saltato Platini in pallonetto e regalato la palla a Pruzzo per la storica rovesciata al 90’. Festeggiare da romanista lo scudetto dopo oltre 40 anni è stato incredibile".

Se dovesse giocare oggi una partita di calcetto chi porterebbe come compagno tra Nela, Falcao e Conti?

"Impossibile da scegliere, parliamo di tre giocatori che oggi farebbero vincere qualsiasi squadra. Con Sebino e Pruzzo ho giocato e vinto il Calcetto dei Campioni, non pensavo il Bomber potesse giocare così bene pure a 5. Ma questi erano giocatori così intelligenti che potevano giocare in qualsiasi assetto. Forse Bruno avrebbe avuto qualche problema perché gli piaceva il campo aperto davanti".

Lei era il dodicesimo di lusso della Roma forse più forte di sempre. Come descriverebbe in una parola quella squadra?

"Una famiglia. Quello che manca nel calcio di oggi dove tutti pensano solo a far soldi. C’era un papà come Dino Viola e una mamma come Flora, sua moglie. E poi c’era Liedholm, altro capofamiglia. Ci trattavano come figli e noi li ripagavamo sul campo".

In questi anni c’è stato un giocatore in cui si è rivisto?

"Forse Moriero. Io sono nato trequartista nel Pisa poi Liedholm mi trasformò in ala perché doveva trattare bene i suoi figli Pruzzo e Falcao (ride, ndr). Per far segnare il Bomber servivano cross perfetti e ha messo Conti a sinistra e me a destra così gli abbiamo fatto fare qualche gol in più. Poi Eriksson mi ha messo a fare il terzino".

Per un romano come lei che effetto è stato esordire a Milano e poi tornare a Roma?

"È stato importante perché ho capito che le cose che sogni nella vita vanno guadagnate. Ho iniziato comunque in una bella Inter, poi sono andato al Pisa e Liedholm mi ha voluto a Roma. A volte bisogna andare via, non tutti sono Totti o De Rossi".

Che poi è quello che potrebbe capitare a suo figlio

"Ora si allena con gente come Menez e Denis e quindi va benissimo per la sua formazione. Il dispiacere di essere stato ceduto c’è ma ha avuto la sfortuna di doversi operare 5 volte alla spalla e per un ragazzo così giovane non è facile. Magari un giorno tornerà alla Roma, ma per ora l’importante è che abbia affrontato il tutto con maturità e che abbia trovato una società che crede in lui".

Oggi la Roma è l’unica italiana ancora in Europa. Come se lo spiega il crollo del calcio italiano degli ultimi anni?

"Perché non si crede nei giovani. Questo riguarda tutti i club di Serie A e a pagare è pure la Nazionale. Se si investisse più nei nostri ragazzi come fanno all’estero si potrebbe ricreare quella scuola di campioni che è sempre stata l’Italia".

Stasera Ajax-Roma, chi parte favorito?

"Se la Roma gioca come ha fatto con lo Shakhtar passa il turno. L’Ajax visto due anni fa in Champions ha un grande gioco ma ha perso giocatori importanti. Bisogna solo vedere se la squadra di Fonseca ha ancora voglia di regalare qualcosa di importante ai suoi splendidi tifosi".


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