Maradona, il colpo grosso: cronaca di un acquisto annunciato

La notte del 30 giugno 1984 l’annuncio che fece impazzire i tifosi. Una trattativa infinita: 40 giorni di braccio di ferro con il Barcellona, tra finte liti e depistaggi
Maradona, il colpo grosso: cronaca di un acquisto annunciato
Fulvio Padulano
5 min

"È lui". La suggestione (collettiva) era talmente tanta, che Lui c’era, ancor prima di mettere piede a Napoli. è lui…: solo due parole, quasi a mo’ di sibilo partito da un Fabietto Schisa bloccato dallo stupore, praticamente in trance. E tutt’intorno decine di passanti letteralmente impietriti, davanti all’improvvisa apparizione di quel viso incorniciato da folti ricci corvini. Maradona s’era così manifestato già prima del suo arrivo, in rigorosa tuta e Bmw nera d’ordinanza, fra lo sfondo d’un panorama posillipino e il sottofondo di quel coro che si sarebbe trasformato in un inno: "Alé alé alé, Diegooo Diegooo…”. Che poi, fosse o non fosse lui, diventava cosa secondaria. Ho visto Maradona già da prima, ecco il concetto ripreso e corretto nella gustosa versione cinematografica di Paolo Sorrentino ed il suo “è stata la mano di Dio”. Fra sogno ad occhi aperti e realtà preannunciata, incastonati nel magico delirio dell’attesa, i napoletani attendevano trepidanti quel miracolo calcistico che avrebbe rivoluzionato un’intera città (e dintorni), la sua storia, i suoi credo.

Stupor Mundi

E quella suggestione si trasformò nell’iniziale delirio dei 70mila e più, allorché Dieguito (alle 18,30 del 5 luglio 1984) sbucò dal ventre di quel caro vecchio San Paolo che adesso porta il suo nome. Dovette letteralmente valicare un muro di fotografi, addetti ai lavori, infiltrati e quant’altro, per poter accedere al terreno di gioco ed esordire con un “Buonasera Napolitani”, in perfetto stile da papa laico. L’emozione si tramutò in estasi, il boato che ne seguì fece saltare i fonometri e tremare tutta Fuorigrotta. E per sole, simboliche mille lire d’ingresso allo stadio, l’orda estasiata poté gustare i suoi primi palleggi partenopei, accompagnati da nuovi boati e seguiti da quel lancio – dal sapore di liberazione ed esplosione di gioia - verso un cielo azzurrissimo. Il ribollire d’uno stadio stracolmo fu sostituito da scariche di brividi intensi (lo stesso Diego confermerà d’esserne stato particolarmente colpito, tanto da sentirsi quasi in soggezione). Partì così l’epopea di quel Pibe de Oro che continuò a palleggiare (e vincere) per quasi sette anni all’ombra del Vesuvio, talvolta anche sostituendo il pallone con arance e limoni.

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Il preambolo

La chiusura dell’acquisto plurimiliardario dell’argentino (13 miliardi e mezzo) non fu però per niente agevole. Al contrario, fu portata a termine dopo una trattativa talmente estenuante e tormentata da assumere a tratti le fattezze del sogno irrealizzabile. Colpi di scena (e di teatro) a ripetizione per oltre 40 giorni di tira e molla, sino all’annuncio notturno del 30 giugno 1984, quello che fece impazzire i napoletani. Ma gli “occhi” sul Pibe partivano da molto più lontano, dal momento in cui nel 1978 se ne interessò l’allora tecnico azzurro Gianni Di Marzio. Andò a vederlo giocare nell’Argentinos Juniors, offrì 300 milioni di lire, ma l’operazione saltò sul nascere anche perché all’epoca non si potevano portare a giocare gli stranieri in Italia. 

Giochi di prestigio

L’interesse si riaccese imperioso allorquando un intermediario argentino di stanza in Spagna, tale Ricardo Fujica, imbeccò l’allora giovane diesse (dell’Avellino) Pierpaolo Marino sulla rottura di Diego col Barcellona. E poi quella trattativa dipanatasi fra storia e leggenda…, che si arenò più volte e quasi in maniera definitiva quando gli spagnoli giocarono al rialzo (dagli 11 ai 13 miliardi e passa) il Napoli, con una manovra ad hoc del direttore generale Antonio Juliano, finse (forse…) di disinteressarsene puntando su Hugo Sanchez (e Santillana). Il tutto però si sbloccò in extremis: Maradona partì per Napoli dopo aver firmato un contratto miliardario all’ultimo giorno di mercato (circa 1,5 miliardi a stagione per lui), il 30 giugno appunto, a tarda sera. Frattanto Corrado Ferlaino con un escamotage (e la compiacenza d’una guardia privata napoletana, si dice) depositò il contratto valido in Lega prima che albeggiasse, sostituendone uno in bianco consegnato la sera precedente. «Non nego d’essere stato il suo carceriere – ha di recente rivelato l’ex patron azzurro – ma sono stato profondamente segnato dalla sua morte. Come se avessi perso uno di famiglia». Così come del resto per ogni singolo tifoso azzurro.


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