"Maradona è morto". Gelo. Era il 25 novembre 2020. Un annuncio e una data che il mondo non dimenticherà mai. In quel giorno, la notizia della scomparsa di Diego si diffuse come un fulmine a ciel sereno, lasciando il pianeta intero senza fiato. Non solo il calcio, ma tutto lo sport, la cultura e la società vissero un momento di lutto collettivo, un’onda emotiva che travolse chiunque. Il "Pibe de Oro", d’altronde, era ed è tutt’oggi una figura che trascende il mondo del pallone, un simbolo eterno di genialità, ribellione e passione. "El Diez" non era solo un calciatore, era un mito ancor prima della sua scomparsa. E la sua morte, avvenuta a soli 60 anni, è stata come la chiusura del sipario su una vita capace di essere al tempo stesso favola e tragedia.
Maradona, eroe di Napoli e Argentina
In quel 25 novembre milioni di persone si riversarono per le strade, soprattutto in Argentina e a Napoli, per rendergli omaggio. La Casa Rosada di Buenos Aires si trasformò in un santuario, con migliaia di tifosi che tra lacrime e canti lo salutarono come si fa per un eroe caduto. All’ombra del Vesuvio, nella città che Maradona lo aveva adottato e amato come un figlio, ogni balcone esponeva una bandiera azzurra o una sua immagine. Il dolore collettivo unì due mondi lontani, ma legati per sempre dalla sua magia. Diego rappresentava qualcosa di unico. Non era perfetto, anzi, le sue imperfezioni lo rendevano più umano e vicino alla gente comune. Simbolo di riscatto per chi non aveva nulla, con il suo sinistro divino e le sue giocate impossibili aveva scritto alcune delle pagine più belle della storia del calcio: dai trionfi con il Napoli al "gol del secolo" contro l’Inghilterra al Mondiale vinto con l’Argentina nel 1986, quello che lo aveva consegnato all’immortalità.
Il giorno in cui il mondo si è fermato a piangere Diego
Ecco perché quello di quattro anni fa fu un giorno di riflessione collettiva sul valore del genio e della fragilità. Diego è stato tutto: un eroe e un antieroe, un uomo capace di accendere i sogni di un popolo con un pallone tra i piedi, ma anche un’anima tormentata che aveva lottato contro i suoi demoni. Il mondo all’epoca si fermò per ricordarlo, lo farà anche oggi. Un modo per celebrare ciò che è stato, per piangere ciò che non potrà più essere. Ecco perché quella giornata di novembre, sotto le luci di uno stadio vuoto o davanti a una bandiera argentina, il mondo si fermò per un istante e guardò al cielo. Perché da quel giorno, lassù, c’era Diego.