Pregi e difetti, ecco come stanno Juve, Napoli, Inter e Milan

I problemi dei singoli allenatori in tre mesi non sembrano cambiati. Con un’eccezione: Gattuso
Pregi e difetti, ecco come stanno Juve, Napoli, Inter e Milan© SSC NAPOLI via Getty Images

Due partite dopo più di tre mesi. Non abbiamo altri elementi, dobbiamo per forza ripartire da qui, dai 180 minuti di confronti fra Juventus e Milan, Napoli e Inter, per riprendere la discussione intorno al calcio. Più che di indicazioni è giusto parlare di sensazioni: tutt’e quattro gli allenatori impegnati in questa ripartenza hanno dei problemi da risolvere e questo è ovvio vista la lunga sosta. C’è però una sensazione più forte che riguarda il tipo di problemi: per almeno tre allenatori su quattro, vale a dire Sarri, Pioli e Conte, sembrano gli stessi problemi pre-interruzione. Problemi rimasti in sospeso a fine febbraio/inizio marzo e che al primo impatto con la nuova epoca di calcio non sono stati risolti. E’ come se riannodando il filo fra le due fasi di stagione poco o niente fosse cambiato. A pensarci bene, non sarebbe mica male: un calcio uguale a se stesso è quello di cui abbiamo bisogno.

Juventus, il sarrismo incompleto deconcentra i bianconeri

La Juventus 2019-20 continua ad essere l’argomento tecnico più interessante della stagione. Era inevitabile che lo fosse considerato l’inserimento di uno dei grandi innovatori alla guida di una grande tradizionalista. La Juve aveva concluso la stagione prima dell’interruzione lasciando in sospeso alcuni evidenti problemi di gioco (terreno di Sarri) e anche in parte di risultati, di certi risultati (terreno della squadra). L’8 febbraio era stata messa sotto dall’aggressività del Verona e aveva perso, il 13 febbraio aveva pareggiato 1-1 a San Siro nella semifinale d’andata di Coppa Italia contro il Milan con un rigore a tempo scaduto di Ronaldo e avrebbe meritato di perdere per quanto era stata inespressiva, il 26 febbraio aveva giocato il peggior primo tempo della sua stagione a Lione dove era stata battuta. Ma siccome in mezzo erano arrivate anche le vittorie in campionato con Brescia, Spal e soprattutto Inter, alcuni disagi sembravano attenuati. Questa è la storia della Juve, non la storia di Sarri: col risultato nasconde la polvere sotto il tappeto. Come era finita, così è ricominciata. Con un’ora di gioco per niente convincente, con distanze fra reparti che si dilatano in senso opposto alle idee del tecnico valdarnese, con giocatori decisamente al di sotto dei loro standard. 

Milan, due o tre uomini da vertice: il resto non è all'altezza

Possiamo solo immaginare la faccia e i pensieri di Maldini quando Rebic, novello Bruce Lee, ha steso il povero Danilo lasciando in dieci la squadra dopo appena un quarto d’ora. Come capitano del Milan di Berlusconi, Paolo non lo avrebbe fatto rientrare a Milanello. Certi gesti sono inaccettabili. E’ questo il problema del Milan, è la maglia che indossa. I giocatori di oggi non la riempiono e c’è perfino chi pensa di potersi permettere un cartellino rosso in una partita tutta da giocare, forse la più importante della stagione. Contro la Juve sarebbe stata comunque una gara in salita, la rapida espulsione di Rebic l’ha trasformata in un’impresa impossibile. A questa squadra è rimasta la forte dignità del suo allenatore, come si è visto nel secondo tempo, ma in questa stagione non giocava le coppe, ora è già fuori dalla Coppa Italia ed è solo settima in campionato (col rischio di farsi scavalcare da Parma e Verona e di non rientrare in Europa per il secondo anno consecutivo). Se tutto questo è reale, è anche giusto, inevitabile, adeguato alla sua pochezza dove confrontata alla propria storia e alla dimensione delle sue rivali. Proviamo a pensare a un Milan in lotta per lo scudetto: quanti giocatori di oggi sarebbero titolari in quella ipotetica squadra? Due, al massimo tre: Donnarumma, Romagnoli (anche se da capitano deve dare di più, soprattutto come esempio, come guida), forse Ibrahimovic, gli altri sarebbero ottime alternative, altri ancora non vedrebbero nemmeno la panchina. 


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Il Napoli sta meglio degli avversari ma manca la brillantezza

Gattuso sta meglio dei suoi tre colleghi che hanno partecipato alla ripresa del calcio. Ha centrato il primo obiettivo della stagione riportando il Napoli in finale di Coppa Italia e in un anno come questo, anzi, in sei mesi come quelli vissuti da Rino sotto il Vesuvio, è un grosso risultato. Ma non è a posto nemmeno lui. All’andata contro l’Inter era stata una scelta l’atteggiamento tattico del Napoli, la difesa organizzata e il contropiede ben fatto erano stati preparati dal tecnico e realizzati dalla squadra. Sabato, invece, non sembrava così. Era più o meno lo stesso tipo di partita dell’andata, ma non si trattava più di una scelta. Era la furiosa pressione dell’Inter a costringere il Napoli in difesa. Certo, Gattuso sapeva come ripartire, non a caso ha conquistato la qualifi cazione con un fantastico contropiede (un lancio, uno scatto, un passaggio, il gol: roba da manuale del calcio), ma la sofferenza sul piano atletico è stata eccessiva. Su quello fisico era inevitabile: se Conte, sui calci d’angolo, può mandare in area i giganti della difesa, Gattuso fatica a rispondere con armi appropriate. Ma atleticamente il Napoli non è stato convincente, nel finale è rimasto schiacciato dall’assedio interista. Boccheggiava in attesa dell’ultimo fischio di Rocchi. 

Inter, la condizione è buona ma se Eriksen non inventa...

Eravamo rimasti alle tre sconfitte di fila dell’Inter: 12 febbraio Inter-Napoli 0-1, semifinale d’andata di Coppa Italia, 16 febbraio Lazio-Inter 2-1, 8 marzo Juventus-Inter 2-0. Poi la sosta. Erano state tre sconfitte pesantissime e solo una poteva essere rimediata, quella di Coppa Italia. Invece l’Inter ha pareggiato al San Paolo ed è stata eliminata dal Napoli. Se la stagione di una grande pone tre obiettivi principali (e uno di scorta, l’Europa League), il rischio per Conte è che siano già sfumati tutt’e tre: fuori dalla Champions, fuori dalla Coppa Italia, terzo posto in campionato. I risultati erano il problema pre-virus e continuano ad esserlo nel post-virus. Insieme ai risultati, però, anche il gioco induce a pensare che da ora in poi Conte sia costretto a inventare qualcosa di diverso. L’Inter gioca su binari senza scambi e non ha il coraggio (la qualità, la preparazione) di uscirne fuori perché teme di deragliare. Finché la condizione è al top (meglio, molto meglio del Napoli sul piano fisico e atletico), con la sua forza d’urto riesce a spingere indietro qualunque squadra, ma appena arriva un po’ di appannamento la manovra perde efficacia. Candreva, che pure ha fatto una bella partita, Young, Moses e Biraghi sono esterni di corsa, non creativi (un pochino di più lo è Candreva), diligentemente adatti agli schemi di Conte ma ripetitivi nei movimenti. 

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Due partite dopo più di tre mesi. Non abbiamo altri elementi, dobbiamo per forza ripartire da qui, dai 180 minuti di confronti fra Juventus e Milan, Napoli e Inter, per riprendere la discussione intorno al calcio. Più che di indicazioni è giusto parlare di sensazioni: tutt’e quattro gli allenatori impegnati in questa ripartenza hanno dei problemi da risolvere e questo è ovvio vista la lunga sosta. C’è però una sensazione più forte che riguarda il tipo di problemi: per almeno tre allenatori su quattro, vale a dire Sarri, Pioli e Conte, sembrano gli stessi problemi pre-interruzione. Problemi rimasti in sospeso a fine febbraio/inizio marzo e che al primo impatto con la nuova epoca di calcio non sono stati risolti. E’ come se riannodando il filo fra le due fasi di stagione poco o niente fosse cambiato. A pensarci bene, non sarebbe mica male: un calcio uguale a se stesso è quello di cui abbiamo bisogno.

Juventus, il sarrismo incompleto deconcentra i bianconeri

La Juventus 2019-20 continua ad essere l’argomento tecnico più interessante della stagione. Era inevitabile che lo fosse considerato l’inserimento di uno dei grandi innovatori alla guida di una grande tradizionalista. La Juve aveva concluso la stagione prima dell’interruzione lasciando in sospeso alcuni evidenti problemi di gioco (terreno di Sarri) e anche in parte di risultati, di certi risultati (terreno della squadra). L’8 febbraio era stata messa sotto dall’aggressività del Verona e aveva perso, il 13 febbraio aveva pareggiato 1-1 a San Siro nella semifinale d’andata di Coppa Italia contro il Milan con un rigore a tempo scaduto di Ronaldo e avrebbe meritato di perdere per quanto era stata inespressiva, il 26 febbraio aveva giocato il peggior primo tempo della sua stagione a Lione dove era stata battuta. Ma siccome in mezzo erano arrivate anche le vittorie in campionato con Brescia, Spal e soprattutto Inter, alcuni disagi sembravano attenuati. Questa è la storia della Juve, non la storia di Sarri: col risultato nasconde la polvere sotto il tappeto. Come era finita, così è ricominciata. Con un’ora di gioco per niente convincente, con distanze fra reparti che si dilatano in senso opposto alle idee del tecnico valdarnese, con giocatori decisamente al di sotto dei loro standard. 

Milan, due o tre uomini da vertice: il resto non è all'altezza

Possiamo solo immaginare la faccia e i pensieri di Maldini quando Rebic, novello Bruce Lee, ha steso il povero Danilo lasciando in dieci la squadra dopo appena un quarto d’ora. Come capitano del Milan di Berlusconi, Paolo non lo avrebbe fatto rientrare a Milanello. Certi gesti sono inaccettabili. E’ questo il problema del Milan, è la maglia che indossa. I giocatori di oggi non la riempiono e c’è perfino chi pensa di potersi permettere un cartellino rosso in una partita tutta da giocare, forse la più importante della stagione. Contro la Juve sarebbe stata comunque una gara in salita, la rapida espulsione di Rebic l’ha trasformata in un’impresa impossibile. A questa squadra è rimasta la forte dignità del suo allenatore, come si è visto nel secondo tempo, ma in questa stagione non giocava le coppe, ora è già fuori dalla Coppa Italia ed è solo settima in campionato (col rischio di farsi scavalcare da Parma e Verona e di non rientrare in Europa per il secondo anno consecutivo). Se tutto questo è reale, è anche giusto, inevitabile, adeguato alla sua pochezza dove confrontata alla propria storia e alla dimensione delle sue rivali. Proviamo a pensare a un Milan in lotta per lo scudetto: quanti giocatori di oggi sarebbero titolari in quella ipotetica squadra? Due, al massimo tre: Donnarumma, Romagnoli (anche se da capitano deve dare di più, soprattutto come esempio, come guida), forse Ibrahimovic, gli altri sarebbero ottime alternative, altri ancora non vedrebbero nemmeno la panchina. 


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