Var a chiamata, la nostra proposta

Var a chiamata, la nostra proposta© ANSA
Alessandro Barbano
5 min

Dopo aver lanciato la pietra nello stagno, proviamo ad articolare una proposta per riformare l’uso del Var e introdurre il cosiddetto challenge, cioè la possibilità per ciascuna squadra di pretendere la verifica alla moviola. Il primo punto della nostra riflessione riguarda il rapporto tra l’arbitro in campo e il collega davanti all’occhio elettronico. Abbiamo già dimostrato che le regole di ingaggio tra i due non funzionano e che il principio del «chiaro e evidente errore», che giustifica l’intervento del Var a imporre una verifica, è una mera figura retorica che ciascuno interpreta a modo suo, con l’effetto di determinare procedure opposte per casi simili. Il rischio di passare dall’arbitro all’arbitrio è tutt’altro che un gioco di parole.

C’è un solo modo per correggere questa distorsione: riaffermare la centralità del direttore di gara come unico dominus della decisione. Vuol dire lasciare alla tecnologia l’autonomo controllo delle situazioni oggettive - l’effettività del gol, cioè il superamento da parte della palla della linea di porta, e il fuorigioco - e rimettere nella responsabilità dell’arbitro in campo ogni altra situazione di gioco. In quanto protagonista della gara, questi ha il diritto-dovere di decidere, poiché le sue scelte sono una parte delle performance dello spettacolo sportivo. Il riesame di un’azione al Var va invece rimesso unicamente alla disponibilità dei portatori di interesse del risultato, cioè le squadre. Le quali possono pretendere, su richiesta dell’allenatore, un numero limitato ma adeguato di verifiche della decisione, a loro giudizio indebitamente assunta, o piuttosto indebitamente omessa, dall’arbitro. La chiamata dell’occhio elettronico può essere attivata con un semplice dispositivo o su richiesta al quarto uomo. In questo caso, alla prima occasione di gioco fermo l’arbitro si reca davanti al monitor e, alla presenza dell’allenatore, riesamina le immagini e assume in piena autonomia la sua decisione definitiva e insindacabile.

Il challenge ha una finalità specifica: responsabilizzare le squadre a un uso corretto e non strumentale delle proteste, trasformando la contestazione in una parte della performance. Il più rilevante effetto sarà quello di porre fine al disgustoso spettacolo dei cascatori, che, al primo contatto, si lasciano cadere tra grida di dolore. L’attuale sistema incentiva la simulazione e umilia la lealtà sportiva, con un evidente danno di immagine per il calcio. La chiamata del Var a iniziativa di parte ribalta il paradigma, scoraggiando la simulazione, che danneggerebbe l’allenatore nella sua attività di discernimento. Ne guadagna l’agonismo, poiché gli attaccanti sono incentivati a continuare l’azione, e risultano scremati molti contatti difficilmente decifrabili a occhio nudo, facilitando il compito dell’arbitro. Il challenge va limitato a una chiamata per tempo, che viene bruciata se la verifica dell’arbitro rigetta la contestazione, altrimenti è attivabile una seconda volta. In tal modo l’intera condotta sul campo delle due squadre s’inquadra in una strategia di gestione della gara che ha nella sportività il suo faro. In un gioco in cui le regole hanno un fondamento interpretativo, la tecnologia deve avere una declinazione coerente con il sistema in cui si colloca. Il Var è stato fin qui adoperato per eliminare o ridurre al minimo l’errore. Il rischio di questa prospettiva è quello di trasferire sempre più peso dall’uomo all’occhio elettronico, depotenziando il ruolo dei protagonisti dello spettacolo. Quando le moderne tecnologie ci consentiranno di valutare anche l’entità del contatto in un contrasto di gioco, l’arbitro sarà - in questo schema - un inutile orpello, subalterno al sindacato di controllo e al giudizio della macchina.

In realtà, il Var non serve a eliminare l’errore, ma a regolare meglio la competizione agonistica e la dialettica che s’instaura tra squadre e arbitro, che è parte dello spettacolo. La distinzione è tutt’altro che irrilevante: il challenge riporta l’uso della tecnologia a una finalità coerente con la sostanza del calcio, che è un gioco di relazione. Non esiste una decisione perfetta, ma può esistere una decisione assunta in modo corretto, riconoscendo un ruolo attivo alle parti portatrici di interessi.

In un certo senso il challenge è un istituto di democrazia sportiva. Per questo ha avuto accesso in molte discipline meno strutturate e meno gerarchizzate del calcio. Sottoponiamo la nostra proposta alle Istituzioni calcistiche nazionali e internazionali, affinché si apra un dibattito sul tema e si attivi una sperimentazione del challenge in una competizione ufficiale. E rivolgiamo un appello agli allenatori, ai calciatori e a tutte le donne e gli uomini di sport, affinché sostengano l’iniziativa. Siamo certi che la qualità, la trasparenza e la sportività del calcio ne hanno molto da guadagnare.


© RIPRODUZIONE RISERVATA

Serie A, i migliori video