Inter-Milan, le due età dello scudetto

Inter-Milan, le due età dello scudetto© ANSA
Alessandro Barbano
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Non esiste l’età dello scudetto, ma stasera a San Siro la linea di metà campo è una demarcazione anagrafica: tra gli undici titolari di Inter e Milan ci sono più di tre anni e mezzo di differenza. L’età media dei nerazzurri è di ventotto anni e quattro mesi, quella dei rossoneri di ventiquattro e otto mesi. Il Milan del primo titolo di Sacchi era giovane quanto quello di Pioli. Ma fu un’eccezione. È raro che una squadra così acerba sbanchi il campionato. 

In quei tre anni e mezzo c’è la distanza che il derby s’incaricherà di fotografare, o piuttosto di confutare, facendo leva sulla sua eccezionalità. Il Milan è ormai da due anni una stupenda incompiuta. Parte a razzo, vola in vetta alla classifica e poi, a metà del guado, va in crisi di identità, declina la creatività in confusione. Alla nona giornata staccava l’Inter di sette lunghezze, insieme con il Napoli: venticinque a diciotto. Nelle successive quattordici gare Pioli ha perso quattro volte, raccogliendo solo ventiquattro punti. Nello stesso tempo Inzaghi ne ha messi nel sacco trentacinque, senza mai perdere e con una partita in meno, quella da recuperare a Bologna. 

Questo per dire che il percorso dell’Inter ha una linearità sorprendente. È partita con qualche incertezza, ma, dopo aver messo a punto la macchina, non s’è più fermata. Inzaghi è riuscito a dare alla squadra un assetto stabile. I titolari sono i titolari. Dal sessantesimo in poi riposano anche in cinque. Ma partono quasi sempre gli stessi, grazie al numero esiguo di infortuni subiti. Chi siano i titolari del Milan è più difficile dirlo. La squadra rossonera ha cambiato molte maglie di più. Non paga tanto i malanni di Ibra, poiché senza lo svedese la sua media punti migliora. È il centrocampo l’area di instabilità: Tonali, Diaz, Saelemekers, Kessie, Krunic e Bennacer si sono alternati negli stessi ruoli, giocando tutti mediamente. Nell’Inter le postazioni in mediana sono invece state monopolizzate da Brozovic, Barella, Perisic e Calhanoglu. Il regista croato ha giocato ventidue gare su ventitré, diventando un faro per tutta la manovra di Inzaghi. 

Gli effetti di questa stabilità stanno anzitutto nei risultati. Nelle ultime tre gare contro Lazio (2-1), Atalanta (0-0) e Venezia (2-1) l’Inter non ha brillato, ma ha continuato a mietere punti. Il possesso palla racconta la sua solidità: 30 minuti e 18 secondi effettivi, contro i 27 e 42 dei rossoneri. Ed è anche la squadra che segna e tira in porta di più: 148 volte nello specchio, 39 più del Milan, 22 più del Napoli, 41 più di Atalanta e Juve. Il suo primato non fa una grinza.

Ma il derby di San Siro non è fatto di soli numeri. Non solo perché le emozioni avranno una forza sovversiva. Ma perché per i due allenatori la gara ha un significato diverso. Per Pioli è uno spartiacque: il Milan non ha l’obbligo di vincere lo scudetto, ma di restare in corsa fino alla fine sì. Se vince, il suo campionato, comunque vada, sarà una tappa di maturazione. Se perde, la sconfitta sarà la prova di un’arrendevolezza e di un’immaturità a cui il tecnico toscano in due stagioni non ha saputo porre riparo. Inzaghi guarda a questa partita come a una tappa di avvicinamento al traguardo. Lui deve vincere lo scudetto, non il derby. Sulla lunga distanza il suo fardello è più pesante, ma stasera è più leggero. 


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