Seedorf esclusivo: "Scudetto? Milan e Inter alla pari, ma Pioli..."

La leggenda rossonera, ora opinionista, ci regala il suo acuto punto di vista su tutte le questioni calde di un acceso finale di stagione
Seedorf esclusivo: "Scudetto? Milan e Inter alla pari, ma Pioli..."© EPA
Andrea Ramazzotti
14 min

Silenzio, in cattedra c’è Clarence Seedorf. Non aspettatevi da lui il nome della favorita per la vittoria dello scudetto o della Champions: rimarrete delusi. La leggenda milanista, ora anche opinionista di punta di Prime Video, non ama i pronostici, ma capisce e spiega il calcio come pochi altri. Ascoltarlo è coinvolgente e farà riflettere molti riguardo i possibili cambiamenti del nostro calcio.

Seedorf, Real-City va considerata una finale anticipata?
«La vera finale anticipata sarebbe stata City-Liverpool, le due squadre da tutti indicate come le favorite insieme al Psg. Nessuno pensava che il Villarreal potesse arrivare in semifinale e quanto al Real a settembre non era considerato sullo stesso livello delle tre che ho detto poco fa. Lo è diventato eliminando Psg e Chelsea».

Preferisce il gioco di Ancelotti o quello di Guardiola?
«Io all’Ajax sono nato con la filosofia olandese che poi lui ha adottato al Barcellona. Guardiola è stato bravissimo a far evolvere quel sistema e rispetto ai tempi del Barça e del “tiki taka” adesso è molto più concreto: quel gioco fatto di decine e decine di passaggi si poteva mettere in pratica con Messi, Xavi e Iniesta. E anche lì dopo un po’ gli avversari trovavano le contromisure. Adesso Guardiola è rimasto un maestro nel massimizzare il possesso palla, ma la sua manovra va molto più alla ricerca della verticalizzazione. Al contrario, Ancelotti sa rendere semplici le cose difficili sia tatticamente sia nella preparazione della squadra». 

Lei è stato allenato da Ancelotti al Milan. Che ricordo ha di lui?
«Per otto anni nelle nostre vene è scorso lo stesso sangue e insieme siamo arrivati sul tetto del mondo. La concretezza ha sempre contraddistinto le squadre di Carlo: il suo è un calcio fatto di scelte tattiche semplici ed efficaci, di cuore, testa e grande spazio concesso alle individualità. Anche il Real nella parte della stagione in cui era meno in forma ha mostrato proprio testa e cuore. E’ stato sempre una squadra “vera”, come il Milan della seconda Champions vinta. Noi avevamo qualità, ma soprattutto eravamo un gruppo unito, con stimoli e un tecnico eccezionale».

Ancelotti è diventato l’unico ad aver vinto tutti e cinque i principali campionati europei.
«E’ un record che non so se sarà mai eguagliato. E’ un allenatore perfetto per le grandi, un tecnico di valore che ha pochi eguali».

Quando lei e Pep vi sfidavate in campo, si aspettava che diventasse un allenatore capace di “influenzare” così il calcio mondiale?
«Il Barcellona di Guardiola ha mostrato quel tipo di calcio perché, prima di lui, in panchina ci sono stati tecnici olandesi (Michels, Cruyff, Rijkaard, ndr) che hanno dato un certo tipo di impronta. La stessa che avevamo noi all’Ajax nel 1995 ovvero possesso palla e pressione alta. Il dna olandese è diventato il dna Barcellona. Le squadre che vincono generalmente diventano dei riferimenti e ci si dimentica del passato. Prima di Guardiola, che resta geniale nel trasmettere la sua filosofia ai giocatori, in Olanda si iniziava già a costruire da dietro, con il portiere, senza però esasperare il concetto come succede oggi».

Così si rischiano errori come quelli dei portieri che sbagliano passaggi e concedono gol.
«E’ bello costruire da dietro, ma nel calcio bisogna soprattutto fare gol e io credo che la strada più veloce di segnare sia sempre quella ideale. Klopp in questo è molto pragmatico e mi piace: quando c’è troppa pressione, è giusto cercare subito le punte con un lancio. Non bisogna vergognarsi... Anche perché c’è il rischio di pagare un prezzo molto alto se perdi il pallone in certe zone. L’influenza di Guardiola, ovvero quella del palleggio basso a ogni costo, non è stata positiva perché non tutte le squadre possono imitare quel Barcellona. Ciò premesso, non è colpa di Pep se qualcuno lo prova a copiare non avendo Neuer, Piqué e Dani Alves. Guardiola porta spettacolo in qualsiasi squadra dove va a lavorare perché sceglie i giocatori che possono migliorare la sua filosofia di gioco. Poi è ovvio che sia più semplice farlo al Bayern o al City».

Quello attuale è il miglior Benzema della sua carriera?
«Sono sempre stato un grandissimo sostenitore di Benzema, anche quando era un po’ nell’ombra di Ronaldo. Se si analizzano le Champions vinte dal Real con CR7, si vede che Karim è stato molto determinante, non solo con i gol, ma soprattuto con gli assist e i movimenti senza palla. Lui è un centravanti ideale per consentire alla squadra di rendere al massimo perché fa sempre la cosa giusta. Con Cristiano si è sacrificato per vincere. Ora invece mostra di essere un centravanti totale: contro il Psg non ha solo segnato, ma in fase di non possesso era ovunque: a centrocampo, a destra o a sinistra. Ha numeri impressionanti, i migliori della carriera. Un caso? No, sono frutto della costanza e del lavoro negli anni».

Merita il Pallone d’Oro?
«Di certo sul podio ci deve essere. Per me andrà a uno tra lui, De Bruyne, Mané e Salah: dipende da chi vincerà la Champions».

De Bruyne è il centrocampista più completo che c’è?
«Con Guardiola ha giocato più da falso nueve che da centrocampista, ma anche cinque anni fa dicevo che era tra i più forti per le sue caratteristiche e per il modo di pensare il calcio. Ha aumentato il numero degli assist rischiando sempre la giocata ed è bello da vedere in azione».

Considerato il 4-3 per il City all’andata, chi è favorito?
«Non parlo di favorite, ma mi limito a un’analisi tattica: il Madrid per poter contrastare il City dovrà alzare l’intensità proprio come ha fatto contro il Chelsea all’andata. Le formazioni inglesi sono abituate ad allenarsi e a giocare con un ritmo alto, ma anche loro hanno delle pause. Solo se le pressi in maniera coraggiosa, le puoi mettere in difficoltà. Il Real ha la qualità per sfruttare questi momenti di black out. Così ha segnato tre gol in casa al City e stasera avrà anche la spinta del Bernabeu. Per Ancelotti non sarà facile, ma il pronostico è aperto».

Il Liverpool, intanto, ha eliminato il Villarreal ed è in finale.
«Era favorito ed ha rispettato il pronostico. I Reds stanno attraversando un momento fantastico di forma: sono in corsa per la Premier, per la FA Cup e per la Champions dopo aver vinto la Coppa di Lega. Hanno una fase offensiva fortissima, una difesa sempre alta e un centrocampo che accompagna bene le azioni. Klopp ha costruito una squadra dinamica nella quale anche coloro che entrano dalla panchina hanno lo spirito giusto».

Chi vincerà la coppa?
«La finale della Champions è la massima espressione del calcio europeo e si affronteranno due formazioni top: la differenza sarà determinata dagli episodi».

Perché le italiane da anni faticano in Champions?
«Le responsabilità non sono delle vostre squadre, ma del governo italiano. Perché i club tornino a essere competitivi, bisogna sbloccare il discorso degli stadi, permettere loro di costruire impianti di proprietà senza dover attendere anni per avere le autorizzazioni. I sindaci che continuano a non decidere fanno un danno ai tifosi, alle società e alle proprie città. L’Italia dal punto di vista degli stadi è uno dei pochi Paesi in Europa che non si è modernizzato e, senza gli introiti che un nuovo impianto garantisce, non intendo i biglietti, è un miracolo che le italiane abbiano una presenza importante in Europa».

Le sue parole saranno musica per certi presidenti.
«Non faccio campagna elettorale, dico solo quello che penso guardando cosa è successo nel resto d’Europa. Puoi essere un bravo dirigente e programmare gli investimenti, magari scovare giovani interessanti, ma se ti mancano gli introiti che uno stadio moderno può portare... L’altro problema è la Lega: nella Premier League inglese e nella Liga spagnola viene perseguito un interesse collettivo, mentre in Italia ognuno pensa a se stesso. Così, anche se la Serie A è un prodotto importante, uno dei migliori campionati del mondo per la sua storia, perde in competitività e venderlo all’estero non è semplice».

Tornando alla Champions, chi tra le italiane deve avere più rammarichi?
«Molti direbbero la Juventus, che è stata eliminata dal Villarreal, o il Milan, che non ha superato la fase a gironi. Io invece la penso in maniera diversa: negli ultimi sette anni la Juventus ha fatto il massimo raggiungendo due volte la finale, mentre il Milan partendo dalla quarta urna ha lottato fino all’ultima giornata. Senza dei correttivi al sistema calcio, i risultati delle italiane in Champions saranno sempre più o meno questi. Di conseguenza, per il Paese vuol dire meno visibilità a livello mondiale e anche meno turismo. È possibile che Manchester diventi più importante di Milano?».

Capitolo campionato: la stuzzica una Serie A così avvincente?
«Me l’aspettavo e a inizio stagione avevo detto che sarebbe stato un torneo più competitivo rispetto al passato, con più squadre in corsa per titolo. Credevo che Juventus e Napoli sarebbero restate “attaccate” alle milanesi ancora di più, ma non hanno fatto il massimo. Anche la Roma e la Lazio potevano avere più punti».

Alle ultime tre giornate il Milan si presenta a +2 in classifica e in vantaggio negli scontri diretti.
«Fin dall’inizio l’Inter è sempre stata indicata come la favorita perché ha la rosa più competitiva ed è campione d’Italia. Ora però il Milan è alla pari dei nerazzurri, in una posizione ottima per vincere lo scudetto dopo tanti anni. Questo duello è positivo per lo spettacolo: in Spagna, Germania e Francia è tutto deciso da settimane, mentre in Italia ci divertiamo ancora».

Cosa le piace del Milan?
«E’ una squadra con uno spirito molto bello. Si vede da come celebrano i gol, dall’impegno che mettono tutti quando un compagno perde una palla importante. Noto uno spirito positivo, frutto del lavoro di un allenatore molto costante nel suo modo di essere. Pioli infonde serenità alla squadra e i risultati si vedono».

Quanti meriti dà al suo ex compagno Maldini?
«Molti perché Paolo con la sua presenza garantisce appoggio all’allenatore oltre a trasferire al gruppo la sua mentalità vincente, il dna milanista. Conosco Maldini e so che nei momenti di difficoltà trova sempre quell’equilibrio necessario per aiutare lo spogliatoio, per spingere il gruppo a essere competitivo. Grazie a lui il Milan ha fatto un bel salto di qualità rispetto agli ultimi anni».

Vedere ancora in campo il suo ex compagno Ibra la impressiona?
«Costacurta e Maldini hanno giocato fino a 41 anni... L’età è un numero e Ibra si mantiene in forma perché fa la vita giusta, sta attento ai particolari. Giocatori in età avanzata possono essere più decisivi di certi ventenni».

Incuriosito dal quarto incrocio stagionale tra Inter e Juventus, nella finale di Coppa Italia?
«Sarà un match interessante, da vedere, perché si sfidano due grandi squadre che finora hanno dato vita a tre incontri combattuti. L’Inter ne ha vinti due (uno era la finale di Supercoppa, ndr) e mi immagino che la Juve abbia un gran desiderio di rivincita».

Sorpreso dalla mancata qualificazione dell’Italia ai Mondiali?
«Sono sorpreso un po’ come tutti. Forse inconsciamente i giocatori si sono rilassati dopo la vittoria dell’Europeo, altrimenti non mi spiego un risultato del genere. Potevano aprire un ciclo vista la mentalità mostrata a Wembley e la striscia record di risultati utili. L’Italia non ha la squadra più forte al mondo e in Qatar non sarebbe stata la favorita, ma aveva trovato un assetto che funzionava».

Per migliorare il calcio le piacerebbe il tempo effettivo?
«A chi dà fastidio che le partite durino i classici 90 minuti? Il calcio non è solo di qualche individuo, ma della gente e le regole si modificano solo se c’è un problema. Da quando c’è il Var sono stati evitati degli errori, ma del tempo effettivo non vedo il bisogno. Se le tv broadcaster, che mettono centinaia di milioni di euro, non si lamentano, perché stravolgere tutto? Piuttosto bisognerebbe intervenire su altro».

A cosa si riferisce?
«Bisognerebbe studiare come porre fine sia ai cori razzisti dei tifosi negli stadi sia ai comportamenti non in linea con il fair play dei giocatori. Sono queste le vere cose da migliorare per l’immagine del calcio e l’esempio che dà ai giovani. Si tratta di due temi per i quali mi batto da tempo, soprattutto quello del razzismo che ogni tanto in Italia purtroppo torna fuori. E’ l’ora di finirla».

Che tipo di avventura sta aspettando per tornare in panchina?
«Io non aspetto niente perché ho una vita bella occupata. Il mio obiettivo è creare opportunità per avere un impatto nel mondo attraverso gli affari, la filantropia e le tante attività che svolgo. Il calcio mi conosce e quindi, se ci saran no opportunità intere ssanti, sono sempre disposto ad ascoltarle. Di certo, però, non sto aspettando il calcio per ritenermi soddisfatto come persona».


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