Pioli e Inzaghi, il bello viene dopo

Pioli e Inzaghi, il bello viene dopo© Inter via Getty Images
Alessandro Barbano
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E' un palio stracittadino e, insieme, una sfida globale tra americani e cinesi. E' il più avvincente finale delle ultime stagioni, ma anche la competizione di due tecnici outsider, diversi per temperamento prima ancora che per gioco. E' il confronto tra due generazioni, poiché il Milan, in campo oggi a Reggio Emilia contro il Sassuolo, ha quattro anni in meno dell’Inter che ospita a San Siro la Samp: venticinque contro ventinove. Il finale scudetto è tante cose insieme. Ma soprattutto un pieno di emozioni, di valori sportivi, di simboli e di storiche rivalità come non si vedeva da anni. Dopo un campionato non mediocre, ma non brillante, pare un risarcimento del caso all’Italia esiliata dal Mondiale in Qatar e appesa al destino della Roma in Europa.

Il Milan non ha lo scudetto in tasca. Anche se ha due punti in più e il vantaggio negli scontri diretti, anche se ha vinto le ultime cinque gare e non perde dal 17 gennaio contro lo Spezia (nel rocambolesco 1-2 deciso dall’arbitro Serra), anche se ha mostrato nel finale un crescendo nel gioco e una maturità caratteriale che per lunghi tratti del campionato aveva inseguito senza raggiungere. Non ha già lo scudetto in tasca, perché affronta la provinciale più imprevedibile e insidiosa del campionato. Certamente tra le più dotate nel palleggio veloce, insieme con Napoli e Fiorentina, capace sì di perdere partite facili, ma anche di battere Inter, Juventus, Lazio, Fiorentina, Atalanta, Verona e lo stesso Milan, il 28 novembre a San Siro per 3-1. Il Sassuolo può ribaltare il pronostico, sempre che la sua disposizione d’animo non sia quella del Maradona di tre settimane fa, quando tracollò per 6-1. Ci piace pensare che la squadra di Dionisi abbia molti motivi sportivi per battersi come sa.

Un pareggio in più e una vittoria in meno dividono l’Inter dal Milan, dopo un campionato che le ha viste equivalersi, in un’altalena di fughe e frenate. Ma Inter e Milan non sono la stessa cosa. L’Inter ha avuto una partenza lenta, una pausa in mezzo al torneo e una caduta con il Bologna che le è costata cara. Ha segnato quindici gol in più del Milan, ma ha dovuto fare i conti con il declino di Dzeko e con il letargo invernale di Lautaro. E' una squadra Brozovic-dipendente: con la sua regia ha il centrocampo più solido e ubiquo della serie A, senza il croato l’equilibrio si disintegra. Il Milan ha compiuto un ciclo evolutivo che, in due anni, ha visto l’archiviazione della chioccia Ibrahimovic e la maturazione di una generazione di talenti di grandissima qualità: dietro a Leao, Tonali, Theo Hernandez, Kalulu, Tomori e Saelemaekers, per citare i migliori. Questo gruppo vale un’egemonia calcistica. Il destino dei due club diverge. Quello dell’Inter è appeso alle direttive del Partito comunista cinese, che, nei modi in cui i regimi sanno fare, dissuade gli alti funzionari pubblici dal possedere società straniere. Il piccolo Zhang, ormai avvezzo a stili di vita e aspettative occidentali, forse si confronta con un giocattolo più grande di lui. L’oculata visione di un dirigente esperto come Marotta potrebbe non bastare a salvarlo.

Il Milan passa di mano in continuità manageriale, dimostrando che non tutta la finanza globale s’ispira a logiche «usa e getta». La gestione rossonera è, per intuito e lungimiranza, l’unica grande architettura del calcio italiano degli ultimi anni. Nel giorno in cui una cascata di petrodollari trasforma a Parigi un fuoriclasse ventitreenne in un Mida onnipotente, la strategia industriale di Gazidis e Maldini è l’unico argine che resta contro le aggressioni dei monopoli arabi al mercato.

Milano, città aperta per davvero, è il teatro naturale di questi universi diversi, ma vitali, che si misurano nell’ultimo braccio di ferro della stagione. Il gomito di Inzaghi flette verso il basso, quello di Pioli lo sormonta con tutta la forza che ha. I due tecnici outsider, che poco o nulla di quello che conta hanno vinto fin qui, vantano entrambi il contratto per la prossima stagione. Ma, dopo i novanta minuti di Sassuolo-Milan e Inter-Samp, l’inchiostro della firma scolorerà su una delle due scritture private. Perché chi perde lo scudetto dovrà dimostrare da domani di meritare la guida di una delle due squadre più forti del campionato. E i titoli e i meriti acquisiti potrebbero non essere una cambiale in bianco.


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