Fabio Cannavaro: “Super Roma con Mourinho, Napoli da completare”

Intervista esclusiva al Pallone d’Oro: «Dybala ha infiammato la passione giallorossa. Milan e Inter partono ancora  in vantaggio. La Juve ha avuto subito il contrattempo Pogba e deve colmare dei vuoti. Si parla poco della Lazio e questo per Sarri è un vantaggio. Bene la Viola»
Fabio Cannavaro: “Super Roma con Mourinho, Napoli da completare”© ANSA
Antonio Giordano
8 min

NAPOLI - Il ragazzo che sognava a occhi aperti ora è un uomo che incolla i ricordi di quell’adolescenza meravigliosa e scopre d’essere improvvisamente avvolto da un dolore fisico: «Garella è stato un mito della mia infanzia e di una generazione di napoletani. Io ero a bordo campo a quel tempo, vivevo da vicino quell’impresa meravigliosa. E’ un colpo duro dal punto di vista umano e affettivo. Con la sua scomparsa se ne va un pezzo di Storia, con la maiuscola, di una squadra e di un giocatore. Vincere due scudetti, con il Verona e poi con il Napoli, ha qualcosa di speciale, di straordinario e persino di irripetibile». C’è un Pallone d’Oro che ondeggia tra i flutti d’un calcio (ancora) inesplorabile però la full immersion nel mare magnum del football si trasforma una traversata carezzevole se affrontata lasciandosi guidare da Fabio Cannavaro che, sulle proprie mappe e nella propria stiva, ci ha messo (da calciatore) scudetti, Coppe, Supercoppe, Europei Under 21, Mondiali e palloni d’oro, un ben di Dio poi arricchito (da allenatore) con i trionfi in Cina.  
 
Per cominciare, vince sempre Ancelotti.  
«Perché è bravo, ma tanto. Perché ha squadre forti. Perché ha un modello di gestione quasi unico, che gli consente di ottenere dai propri calciatori sempre il massimo. E perché riesce a essere sempre se stesso. Con modernità».  
 
E da stasera - parte la serie A - come la mettiamo?  
«Intanto, non so ancora cosa vedere. E comunque voglio riprendermi da questa lunga astinenza, voglio gustarmela e magari cogliere qualche novità interessante».  
 
Con il mercato aperto e i tratti somatici che potrebbero cambiare, chi va considerato in vantaggio?  
«Mi viene da dire Inter e Milan o Milan e Inter, fate un po’ voi, con la Roma a una incollatura o comunque non distante. Il passato conta e Pioli e Inzaghi partono con un bel vantaggio. Poi ognuno ci ha inserito giocatori particolari, che finiranno per incidere».  
 
Il colpo dell’estate?  
«Il rientro di Lukaku ha un peso, anche se io ci vado sempre con cautela sui cavalli di ritorno. Dybala e non solo lui hanno infiammato giustamente Roma. Su Di Maria e Pogba è superfluo parlare. Ma a me incanta De Ketelaere, un talento puro che non va paragonato ad alcun predecessore perché deve essere lasciato libero di esprimere quello che sa. Per il sottoscritto, è bellissimo da vedere».  
 
Se qualcosa è cambiata, è il ruolo della Juventus: non è più la razza padrona.  
«Eppure aveva cominciato con due acquisti clamorosi, ma perdere Pogba per infortunio non è buona cosa, e questa si chiama sfortuna. Però va anche detto che altro comunque le manca, sostituire Chiellini e Dybala, ad esempio, non è semplice, sono vuoti grossi da colmare. Immagino che la Juve stia attraversando un momento di transizione, deve passare da un’epoca all’altra».  
 
La rivoluzione l’ha fatta il Napoli.  
«Mi pare non l’abbia ancora completata, perché leggo di portieri in arrivo e di attaccanti da acquistare. Sento il malumore della città, è figlio del sentimento provato nei confronti di Insigne, di Mertens e di Koulibaly. E penso che il problema più grosso sia trovare l’erede di Koulibaly. Kim, che mi piace molto, mi sarebbe piaciuto vederlo al fianco del K2. Resto comunque affascinato dal suo arrivo e sono impaziente di vedere quale impatto avrà. Kim mi incuriosisce tanto. E se poi arriva Raspadori, allora bisognerà aggiornarsi sul ruolo del Napoli, perché Spalletti potrà appoggiarsi al suo 4-2-3-1 che ha un peso».  
 
Si può dire che la Roma è la squadra a immagine e somiglianza di Mourinho?  
«Si deve dirlo. Uomo intelligente e allenatore di spessore, ha impiegato un anno per entrare nel club e lo ha fatto a modo suo, vincendo la Conference, che è sempre un bel modo per cominciare. Poi è intervenuto con autorevolezza: in una squadra già piena di qualità, ci ha messo fisicità, esperienza e genialità. Se pensiamo ai titolari, è alla pari con Inter e Milan; poi bisognerà verificare l’apporto delle cosiddette alternative. Ma ha il marchio di Mou questa Roma».  
 
Scelga una sorpresa.  
«Farei un torto alla Lazio o alla Fiorentina, se le considerassi tali. Hanno un vissuto, quello della stagione passata. E allenatori che guardano lontano. Io ho stima per Sarri, mi piace ma tanto, fa giocare sempre bene le proprie squadre e già questo è un privilegio per gli spettatori. Della Lazio si parla poco, può essere un vantaggio, perché per me c’è un gruppo in grado di dare soddisfazioni. E pure Italiano si è presentato con due stagioni dense di idee, con la Fiorentina ora va a giocarsi la qualificazione in Conference».  
 
Il rischio qual è?  
«Che ci sia un campionato spaccato in due, forse in tre. Una fascia altissima, una media e una bassa, con distanze troppo grosse tra i vari status».  
 
Nell’altra metà del cielo, si è distinto il Monza di Galliani e di Berlusconi.  
«Campagna acquisti strepitosa per una matricola, dettata dalla conoscenza di questo mondo. La serie A è ovviamente diversa dalla B e Galliani è intervenuto con la lucidità di chi sa che deve evitare rischi. Però non mi sta dispiacendo neanche la Salernitana, nonostante qualche difficoltà iniziale: vediamo come si completerà ma i segnali sono incoraggianti».  
 
Le grandi sempre più grandi, le piccole sempre più piccole...I ricchi sempre più ricchi, i poveri sempre più poveri.  
«Ma io tutta questa ricchezza non la vedo. Vedo semmai le difficoltà di sempre. Non siamo paragonabili alla Premier e non è solo una questione di budget ma di organizzazioni. Qui si perde di vista un concetto: i club hanno bisogno di poter vivere attraverso quella che volgarmente viene chiamata possibilità di far cassa. Mentre gli introiti, allo stato, restano i diritti televisivi. Vanno sciupandosi i brand, si disaffeziona la gente».  
 
Eppure sono arrivati gli stranieri.  
«Che, chiaramente, non essendo stupidi, investono ma non sprecano. Una società di calcio è un’azienda, ha dei valori economici da rispettare e fonti di interesse da sviluppare: da noi, per andare allo stadio, bisogna leggere le avvertenze, qui si può e qui no, questo è chiuso agli ospiti e quest’altro invece è aperto. Per comprare un biglietto è necessario industriarsi per scoprire quale siano, eventualmente, le restrizioni. Gli stadi sono sempre quelli e sono ovviamente invecchiati. E un manager cosa dovrebbe fare?».  
 
Non ne usciamo, quindi?  
«Purtroppo giriamo da un bel po’ intorno agli stessi problemi, che non si riescono a risolvere. Il progresso della Premier e anche della Bundesliga è lampante, basta dare un’occhiata alle immagini televisive per rendersi conto del clima diverso che si avverte».  
 
E questa sarà la stagione più matta.  
«Un esame anche questo. I due mesi di vuoto, quelli del Mondiale che saremo costretti a guardare da casa, serviranno agli allenatori per sfruttare la sosta come fanno i tedeschi: lì, nella lunga pausa, si creano le basi per il rush finale. Qui, ci sarà uno stop più corposo e poi una volata più lunga, ma in quei sessanta giorni senza partite si potrà comunque recuperare qualche infortunato e mettere mano per la seconda fase della stagione».  
 
Il pallone d’oro lo diamo d’ufficio a Benzema?  
«Ha fatto bene anche Mané, vincendo la Coppa d’Africa. Ma Benzema e il Real Madrid non hanno lasciato praticamente niente. Diciamo che sarà una sfida a due, va...».


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