Caro Tare, il fallimento tecnico è un'altra cosa

Caro Tare, il fallimento tecnico è un'altra cosa© Marco Rosi / Fotonotizia
Alessandro F. Giudice
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Sono corrette le affermazioni di Tare sulle condizioni finanziarie di alcuni club? In un intervento alla Luiss, il ds laziale ha definito Juve, Roma, Milan e Inter «tecnicamente falliti» e «tenuti in vita perché il sistema ne ha bisogno». Per amore di verità e per non esporre gli studenti a frasi casuali, è bene premettere che il giudizio non è fondato “tecnicamente”, ma neppure sostanzialmente. I quattro hanno subìto perdite gigantesche ma una società fallisce se incapace di onorare i debiti (fornitori, dipendenti, banche ecc.) non quando perde.

Un’azienda può perdere a oltranza, eppure rispettare gli impegni ottenendo credito, o gli azionisti possono ricapitalizzarla come le squadre citate. Analogamente, aziende in utile possono cadere in difficoltà finanziarie: ad esempio, dovendo spesare grandi investimenti o per difficoltà ad incassare dai clienti. Come insegnano nelle aule in cui Tare ha rilasciato frettolose patenti di fallimento, si fallisce con la cassa vuota non coi bilanci in rosso. Spesso le due circostanze coincidono, è vero, ma non è questo il caso.

La Juve, ad esempio, ha perso 600 milioni in quattro anni. Il titolo in borsa è crollato e il valore di mercato riflette uno squilibrio economico insopportabile. Ma gli azionisti hanno versato 700 milioni in aumenti di capitale e non può dirsi fallita finché la proprietà può (e vuole) ricapitalizzare. La Roma pare lontana da un sentiero sostenibile, ma ha un gruppo che l’ha acquisita, vi ha investito coprendo le perdite e pare volerlo fare ancora a lungo. Il Milan ha vissuto nel 2018 l’insolvenza del suo azionista ma l’incapacità di onorare i debiti contratti con Elliott per acquisire il club riguardava Li, non il Milan. Certo, il club sarebbe stato trascinato nel fallimento se Elliott non avesse esercitato il pegno, ma oggi ha zero debiti ed è stato acquisito per 1,2 miliardi. Assai bizzarro definirlo “tecnicamente fallito”. La stessa Inter ha attraversato difficoltà, tensioni finanziarie, ritardi nel pagare gli stipendi, ma il buco fu coperto da cessioni importanti poi da iniezioni di cassa dell’azionista. Il pegno delle quote non riguarda direttamente il club e non bisogna confondere i piani di una catena di controllo. Da queste colonne abbiamo criticato gestioni poco virtuose, ritenendole modelli di business sbagliati. Norme disciplinari sono state aggirate, ma il fallimento, tecnicamente, è altra cosa.

Ancor meno condivisibile ci pare la frase sul “sistema” (generica entità sempre evocata per alludere a misteriosi disegni occulti) che li terrebbe in piedi perché “too big to fail”. La verità è molto più semplice: non li tiene in piedi il sistema, ma i soldi degli azionisti.


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