Il toccante racconto di Prandelli: "Ecco perché ho smesso di allenare"

L'ex Commissario Tecnico ha raccontato le ragioni che l'hanno indotto ad annunciare il ritiro: "Ho provato un senso di vuoto"
Il toccante racconto di Prandelli: "Ecco perché ho smesso di allenare"© EPA
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Dopo l'addio alla carriera da allenatore, Cesare Prandelli si è raccontato al Corriera della Sera: "Ora sto molto bene, seguo sempre il calcio, con passione. Ma non ho pensato neanche per un secondo di tornare ad allenare. Basta, fine. Vorrei fare qualcosa ancora ma non l’allenatore. Mi sono reso conto che ero arrivato: generazioni diverse, gestioni diverse, programmi diversi. Ho avuto la sensazione che qualsiasi cosa proponessi ricevevo parole brutte e stavo sul cavolo a tutti. Sono fuori tempo massimo, probabilmente. Capita".

Prandelli racconta: "Mi è mancato il respiro per dieci secondi"

Prandelli prosegue: "Era durante un Sampdoria-Fiorentina, a febbraio del 2021, stavamo dominando la partita poi, verso il settantesimo, ha segnato Quagliarella per loro. In quel momento ho provato una spaventosa sensazione di vuoto. Mi è mancato il respiro per dieci secondi. Credo di conoscere il sapore dell’adrenalina ma una esperienza così non l’avevo mai provata. Un vuoto nero, un gorgo di nulla. Forse il troppo amore per la Fiorentina, il desiderio di strafare, di portarla fuori dai guai. Ho parlato con le persone che sanno gestire queste situazioni di stress e mi hanno consigliato di staccare un po’. Mi hanno fatto questo esempio: è come un chirurgo che in sala operatoria interviene tutti i giorni ma arriva un familiare e lui si blocca. Il chirurgo non riuscirà più ad operare. Una sensazione così, di troppo affetto, di troppo amore, di troppa responsabilità mi ha tolto il respiro. Era il segnale".

Il rapporto con i procuratori

"Conosco tanti procuratori, persone veramente perbene, capaci di rapportarsi correttamente e di interagire anche con gli allenatori. Loro sono utili, ai ragazzi e a noi. Ma poi c’è anche un altro mondo che schiaccia tutto, non guarda in faccia a nessuno mosso solo da un gigantesco interesse economico. Loro fanno male ai calciatori, alle società, al calcio. Io non ho mai avuto procuratori, li ho presi soltanto quando sono andato in Spagna. Voglio dirle questo: in teoria gli allenatori non dovrebbero avere i procuratori. Si apre altrimenti un grande conflitto di interessi. Per questo ho sempre voluto essere libero. I calciatori di oggi? La cosa imbarazzante è quando tu finisci l’allenamento, entri nello spogliatoio e tutti sono con il telefonino in mano. Non ci sono dieci minuti, un quarto d’ora in cui cerchi di analizzare, non so, la partita che hai perso, la situazione che non hai capito, tutto finisce lì. Magari sono molto più seri e professionisti rispetto a noi, ma hanno una concezione diversa del lavoro che deve essere accettata. È così, oggi".

 Il momento in cui ha deciso di smettere

"L’ho capito la domenica mattina, la sera avremmo incontrato il Milan. La settimana prima avevamo giocato e vinto a Benevento. Dopo la partita ho detto “Sono stanco, sono vuoto”, pensavo fosse una situazione passeggera. Ma in settimana non era cambiato nulla, tutte le volte che arrivavo agli allenamenti avevo questo senso di disagio. La società mi è stata vicino, i collaboratori anche. Ero io che stavo male, nel profondo. La domenica mattina abbiamo fatto come sempre un allenamento pre-gara. Al mattino, in palestra, c’è stata una situazione, nulla di che, una carenza di concentrazione. Di solito agivo in un certo modo e la superavo. Quel giorno ho fatto due passi e ho sentito ancora quel disagio, sempre più forte. Mi sono riseduto e ho detto basta, è la mia ultima partita in panchina".

 La vicinanza dei colleghi

"Tantissimi giocatori che ho avuto alla Fiorentina per cinque anni dal 2005 al 2010 mi hanno scritto. Colleghi tanti, ma devo dire quello che mi ha sorpreso per la straordinaria umanità, è stato Antonio Conte. Poi anche Gasperini, Stefano Pioli".

 La morte della moglie Manuela

"Mi sono sentito un privilegiato perché ho potuto scegliere. Tante persone hanno vissuto il mio stesso dramma e non avevano la stessa possibilità, dovevano continuare a lavorare dalla mattina alla sera. Avevamo fatto un patto, con Manuela: se avesse dovuto fare altre cure, più invasive, non l’avrei lasciata da sola. Ho fatto una cosa normale, ma forse oggi la normalità è un’eccezione".

La Nazionale 

"In quei quattro anni abbiamo cercato di capire dove poteva andare il mondo Federazione. Allora abbiamo cercato di fare delle proposte, ma abbiamo trovato molti ostacoli. Ci sono tante parrocchie che condizionano la scelta del presidente, I dati dicono che, fino ai vent’anni, noi siamo molto competitivi a livello mondiale, molto. E poi no, c’è un vuoto e volevamo capire il perché. Alla fine torni sempre a come gestisci i bambini che iniziano a giocare a calcio, inizia tutto da lì. Se l’allenatore di un bambino di otto, nove anni, dieci anni, nota una gestualità e non capisce che è una gestualità da talento e cerca di immagazzinarlo in un sistema di gioco molto rigido, è normale che i talenti non escano. Ho visto delle partitine di bambini di otto, nove anni con il mio nipotino. Non vado più perché vorrei veramente parlare con il presidente federale e dirgli: “Ma voi sapete come stanno gestendo il calcio dei bambini?” Ci vogliono gli istruttori, invece sono tutti allenatori, i bambini di otto anni sono tutti impostati, passaggio avanti, passaggio dietro, non puoi fare più di due tocchi, quello avanti non può dribblare. Ma come non può dribblare? Se un bambino dribblava tutti, c’era l’allenatore che gli urlava di passare la palla. Bisogna ricominciare ad allenare il talento, non ad insegnare le tattiche".


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