Franco Dal Cin, l’intervista: “Ho scassato il calcio con Zico, sono un genio”

Direttore sportivo negli anni Ottanta, ha stravolto le regole, introdotto novità, difeso la categoria. E per ricordarsi tutto alla fine ha dovuto scrivere un libro
Franco Dal Cin, l’intervista: “Ho scassato il calcio con Zico, sono un genio”
Antonio Giordano
8 min

Un bambino di 80 anni rimette in ordine i propri ricordi: e non sono i giocattoli di quell’infanzia lontana. Il giorno in cui Arthur Antunes Coimbra, ma sì proprio Zico, mette piede in Italia se ne andò a Udine, nella laboriosa provincia che surclassa le capitali del calcio e le costringe a tormentarsi l’anima. La prima volta che sistemarono uno sponsor nel football, accadde ancora Udine. Poi le traiettorie della vita cambiano e qualcosa succede a Reggio Emilia, e siamo ormai nel Terzo Millennio, dove nasce uno stadio di proprietà privata, è di una società, ispirata da un uomo solo al comando, Franco Dal Cin, che ne ha di episodi da raccontare, perché, come cant a De Gregori, qualcosa rimane, tra le pagine chiare e le pagine scure... 

Dal Cin Franco, si presenti a chi non la conosce. 
«Io sono un genio».

Autostima a palla. 
« È provato. E pensi che non lo sapevo. Poi mi hanno spinto a scrivere questo libro e quando ho raccolto i momenti-chiave della mia vita, mi sono reso conto di essermi spinto persino oltre». 

Sarà stato anche un po’ folle. 
«Zico a Udine è illuminazione di Giulio Dolè. Era da due anni che ci provava. Poi m’ha chiamato e mi ha detto: si può fare. Operazione ingegnosa, costruita su due contratti - uno squisitamente tecnico, l’altro legato ai diritti d’immagine - che in Federazione neanche avevano capito. E infatti, venne inizialmente bocciato, cominciò una battaglia frenetica». 

Udine insorse: Zico o Austria. 
«Ma Giulio Andreotti risolse la questione, perché altrimenti Cerezo non sarebbe arrivato alla Roma. E la Figc finì per subire le pressioni, non certo per accettare quella nostra scelta rivoluzionaria».

I fantastici anni 80... 
«La mia classifica: Maradona, il più grande; ad un’incollatura Zico e poi Platini. Erano tutti qua da noi. Però Zico ce l’avevamo noi a Udine. Maradona era al Napoli e Platini alla Juve».

Vada a spiegarlo ad un ragazzo di oggi. 
«I tre più forti del Mondo, in quel momento».

Convincere Zico ad arrivare a Udine fu semplice... 
«Sa come si diceva, allora? Udine sta vicino a Venezia. Ma Zico non ebbe mai dubbi, capì che avevamo un progetto ambizioso. Non avevamo fatto i conti con la classe politica, con le beghe per interessi privati. Napoli ha difeso Maradona, proteggendolo; Udine ha condannato Zico - una delle persone più buone - per evasione fiscale. Lasciamo stare, sennò tracimo». 

Non sarebbe la prima volta: ha scritto un libro, Delitto imperfetto, in cui ci ha dato dentro. 
«Incontro a Lignano, in un bar, Renato Giampaoli. Non ci conoscevamo, si avvicina con educazione: vorrei viaggiare in quegli anni, ce li racconti, con le sfumature. Gli ho detto che non avrei mai dato alla stampa una pubblicazione». 

È un uomo di parola con se stesso... 
«Sono crollato, forse perché ho qualcosa da dire. E poi sono onesto. E presuntuoso. Ero anche ricco, ora sono quasi povero. Ho dissipato, ma lasciamo perdere. Non ho gestito il mio patrimonio: e pazienza. In sintesi, mi sono fatto male da solo. Saprò far meglio nella prossima esistenza, per esempio facendomi riconoscere la buonuscita dall’Inter». 

Manco quella? 
«Vado a Milano, presidente Pellegrini. Firmo un contratto-capestro, ma lo faccio liberamente, quando venni cacciato ci rimisi anche il preavviso, che in genere a un dirigente bisogna concedere. Durai poco, il cerchio magico intorno al presidente mi soffocò. Io non avrei mai tenuto Castagner allenatore, pace all’anima sua, ma loro sì. E quando le cose andarono male, nella riunione per decidere cosa fare del tecnico, misero su un falò e bruciarono pure il sottoscritto. Non c’era nulla di mio nella squadra, avevano deciso esclusivamente loro. Ma Pellegrini, persona rispettabile, agiva come un ragioniere e io che sono un artista non potevo allinearmi al suo pensiero». 

Certo, alla presentazione... 
«Mi lascia andare e mi rovinai la piazza, come si direbbe adesso. Domanda: qual è la sua squadra del cuore? Rispondo sorridendo: quella per la quale lavoro. Lo è stata l’Udinese, adesso sarà l’Inter. Controdomanda: sì , ma da bambino per chi teneva? E lì casco come un giovincello: beh, ero per la Juve. Titolo strillato su un quotidiano il giorno dopo: l’Inter nella mani di uno juventino».  

Direbbe Mourinho... 
«Ecco, bravo. Fui un pirla. Ma resto intelligente, se permette, con tutte le mie contraddizioni».

Il giovane Dal Cin chi era? 
«Il più bravo di tutti, altrimenti non fai di Udine il polo di attrazione di quel momento. Non voglio banalizzare, né esaltarmi, però Zico è un colpo che ha sconquassato il calcio un anno prima di Diego. Costruito su basi diverse, dire ingegnose, con la Groupings che s’interessava degli aspetti commerciali. Ora si filosofeggia di marketing, ma qua stiamo parlando esattamente del 1983. Sa quanti anni avevo io?».

Che fa, il nostalgico? 
«Rifletto sui passaggi della mia vita e mi accorgo che quando all’Udinese mettemmo la scritta Sanson sui pantaloncini eravamo all’alba degli anni 80. Tra poco sarà passato mezzo secolo. Chi nasce oggi, trova le magliette imbandite di sponsor, quelle erano completamente spoglie. Un numero sulla schiena, il logo del club al petto. Basta». 

Voi diventaste eretici. 
«Infransi la sacralità di un luogo, la divisa. Aprimmo alla pubblicità, dunque a una economia sconosciuta». 

Nel suo peregrinare, arriva a Reggio Emilia. 
«Il primo stadio di proprietà è della Reggiana. Adesso, per sottolinearlo, ce l’hanno la Juventus e l’Udinese. Ma io mi sono portato avanti con il lavoro, quando aprimmo il Giglio si poteva accedere con la carta magnetica. Posso dirmelo da solo, visto che non me lo dicono, pure quello fu un capolavoro. Ora il problema del calcio italiano - o una delle preoccupazioni più ricorrenti - è quello de gli impianti: vecchi, mal tenuti, al centro di conflitti con la Pubblica Amministrazione. Se ci danno gli Europei, magari ne usciamo. Oppure no». 

Uomo da contropotere. 
«Lo sfidavo dal basso e con la forza delle idee. Andava di moda un concetto, all’epoca: i direttori sportivi sono tutti imbroglioni. Ne parlai all’Adise, invitando a reagire, perché erano insulti inaccettabili; poi brutalmente dissi ad alcuni presidenti - Viola, mi pare Boniperti, non ricordo a chi altro - se così fosse, voi siete i mandanti: perché se vi dicono che per chiudere un affare bisogna mollare qualcosa e voi date l’ok, allora non potete essere incolpevoli. Io non sono uguale, signori: mai tenuto per me centomila lire». 

Però ha fatto una carriera, anche all’estero; e poi la storia dei diritti televisivi. 
«Sono Stato in Russia, alla Dinamo Mosca, per privatizzare. E con Partizan-Roma le partite uscirono dal blocco Rai. Cominciò un’altra era, che ci ha portato a quel che siamo adesso: sistematicamente connessi con una partita di calcio, dalla domenica alla domenica». 

Se vivesse questo tempo da super manager qual era, cosa farebbe? 
«Mi vorrei più bene, sempre con integrità assoluta, totale». 


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