Napoli, Calzona può sperare

Il commento dopo il pareggio tra i nerazzurri di Simone Inzaghi e i campioni d'Italia
Napoli, Calzona può sperare© LAPRESSE

Un pareggio che non serve a nessuno. Né all'Inter che non è riuscita a togliersi di bocca l'amaro dell'eliminazione in Champions (ieri l'Atletico è stato battuto nettamente in casa dal Barcellona 3-0). Né al Napoli che resta a sei punti dal quinto posto occupato dalla Roma di De Rossi ma che comunque ha evitato la nona sconfitta in ventinove partite. E può continuare a sperare. Di certo può contare su una rosa che in mezzo a mille difficoltà non ha smarrito l'orgoglio di essere campione. Il Napoli non ha voluto recitare il ruolo di vittima sacrificale. Di chi sembra predestinato alla messinscena del passaggio di consegne. Lo scudetto sarà dell'Inter, ovvio, ma la squadra di Calzona non ha contribuito ad avvicinare la matematica. Non c'è granché da illudersi. Non si è visto nulla di nuovo. Né potremo vederlo nelle nove partite da qui alla fine del campionato. Ma almeno non c'è stata la resa. E non è poco. Il Napoli è al terzo allenatore. È evidente che non si tratta di un problema tattico né tantomeno tecnico. Ha smarrito la direzione ma l'impegno in campo né l'orgoglio dei campioni sono mai venuti meno: né con Garcia né con Mazzarri né con Calzona. È un club in cui oggi non si avverte il senso d'appartenenza che è l'equivalente calcistico della fede: sposta le montagne.

Napoli e la disabitudine a vincere

Se il Napoli si ritrova contro l'Inter con Osimhen e Zielinski che vivono da separati in casa, vuol dire che c'è qualcosa non va nella stanze dei bottoni. Purtroppo il post-scudetto ha confermato che alcune piazze pagano più di altre la disabitudine a vincere. Tutto quel che è accaduto dalla conquista dello scorso campionato, ha reso chiaro come mai a Napoli non si festeggiava da trentatré anni. Torniamo al campo. La partita l'ha fatta l'Inter ma la squadra di Inzaghi non ha avuto la forza di chiuderla. I risultati non sono mai casuali. È mancato qualcosa ai nerazzurri che evidentemente cominciano ad avvertire stanchezza nella gambe dopo una stagione vissuta a tutta e con una fuga da lontano, diciamo alla Chiappucci. È più o meno quel che è successo al Napoli dodici mesi fa con quell'uscita dalla Champions che ancora brucia. L'Inter si trova da settimane in quella strana dimensione di attesa della festa. Lungo la strada, la squadra di Inzaghi ha dovuto fare i conti con l'Atletico Madrid di Simeone e con i calci di rigore.


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I dettagli che fanno la differenza

Lo scudetto era l'obiettivo stagionale numero uno, la tanto attesa seconda stella chiesta da Zhang. Ma è innegabile che dopo la finale dello scorso anno contro il Manchester City, i nerazzurri stavano pregustando la seconda chance. Ci avevano fatto la bocca. Il match col Napoli aveva quindi assunto un significato diverso. L'appuntamento ideale per confermare innanzitutto a sé stessi che la stagione è stata maiuscola, che una serata infelice può capitare. È stato il motivo che ha spinto Simone Inzaghi a schierare i migliori. Come a dire: “dimostriamo chi siamo”. Ha provato a far leva proprio sul senso d'appartenenza. Le grandi squadre non si accontentano dell'attesa della matematica. Si lavora anche per gli anni successivi. Per formare una mentalità che resti. E l'Inter la partita l'ha fatta. Ma non è bastato. Perché ha commesso troppi errori. Errori nell'ultimo passaggio. Errori nei cross. E poi un errore nella solita costruzione da dietro che è costata il calcio d'angolo decisivo. Sono i dettagli a fare la differenza. Proprio come ai rigori.


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Un pareggio che non serve a nessuno. Né all'Inter che non è riuscita a togliersi di bocca l'amaro dell'eliminazione in Champions (ieri l'Atletico è stato battuto nettamente in casa dal Barcellona 3-0). Né al Napoli che resta a sei punti dal quinto posto occupato dalla Roma di De Rossi ma che comunque ha evitato la nona sconfitta in ventinove partite. E può continuare a sperare. Di certo può contare su una rosa che in mezzo a mille difficoltà non ha smarrito l'orgoglio di essere campione. Il Napoli non ha voluto recitare il ruolo di vittima sacrificale. Di chi sembra predestinato alla messinscena del passaggio di consegne. Lo scudetto sarà dell'Inter, ovvio, ma la squadra di Calzona non ha contribuito ad avvicinare la matematica. Non c'è granché da illudersi. Non si è visto nulla di nuovo. Né potremo vederlo nelle nove partite da qui alla fine del campionato. Ma almeno non c'è stata la resa. E non è poco. Il Napoli è al terzo allenatore. È evidente che non si tratta di un problema tattico né tantomeno tecnico. Ha smarrito la direzione ma l'impegno in campo né l'orgoglio dei campioni sono mai venuti meno: né con Garcia né con Mazzarri né con Calzona. È un club in cui oggi non si avverte il senso d'appartenenza che è l'equivalente calcistico della fede: sposta le montagne.

Napoli e la disabitudine a vincere

Se il Napoli si ritrova contro l'Inter con Osimhen e Zielinski che vivono da separati in casa, vuol dire che c'è qualcosa non va nella stanze dei bottoni. Purtroppo il post-scudetto ha confermato che alcune piazze pagano più di altre la disabitudine a vincere. Tutto quel che è accaduto dalla conquista dello scorso campionato, ha reso chiaro come mai a Napoli non si festeggiava da trentatré anni. Torniamo al campo. La partita l'ha fatta l'Inter ma la squadra di Inzaghi non ha avuto la forza di chiuderla. I risultati non sono mai casuali. È mancato qualcosa ai nerazzurri che evidentemente cominciano ad avvertire stanchezza nella gambe dopo una stagione vissuta a tutta e con una fuga da lontano, diciamo alla Chiappucci. È più o meno quel che è successo al Napoli dodici mesi fa con quell'uscita dalla Champions che ancora brucia. L'Inter si trova da settimane in quella strana dimensione di attesa della festa. Lungo la strada, la squadra di Inzaghi ha dovuto fare i conti con l'Atletico Madrid di Simeone e con i calci di rigore.


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