Baroni e Diego, un gol diventato romanzo

Il tecnico nel1990 segnò la rete del secondo scudetto del Napoli su assist di Maradona: gli avversari degli azzurri erano i biancocelesti
Napoli-Lazio, la probabile formazione scelta da Baroni
Daniele Rindone
4 min

Sono romanzi certi racconti. Baroni e Napoli, Baroni e Maradona, Baroni al San Paolo, una scarica unica di emozioni. Potrà sempre dire che il gol del secondo scudetto azzurro lo segnò proprio lui, Marco Baroni in persona, su assist di Maradona. Un gregario, un dio minore. Non il dio del calcio. Il piacere calcistico massimo. C’è una certa fatalità in questo romanzo perché il 29 aprile 1990 quel gol, Baroni, lo segnò alla Lazio di Materazzi (in panchina), Amarildo e Sosa. In tribuna c’era Bilardo, cittì argentino. Anche la madre di Diego. Tutti aspettavano Maradona per la festa scudetto, sbucò Baroni in area. Gol lampo, segnato dopo 7 minuti. E’ ancora più bello il romanzo quando è proprio Baroni a raccontarlo: «Di quel Napoli ero la parte operaia», dice sempre. Diego lo chiamava Cabezon (da cabeza, testa in spagnolo) e proprio di testa arrivò il celebre gol-tricolore: «Tutto era nato in allenamento - è una delle confessioni del passato di Baroni - perché Diego aveva notato questa mia capacità nel colpo di testa. Quindi il gol dello scudetto era stato quasi previsto da lui e dalle sue battute sulla mia attitudine a segnare di testa». Era il 1989 e Baroni si trovò ad allenarsi con Diego: «La sua grandezza era tale da sprigionarsi prepotentemente anche negli allenamenti. La palla diventava magia. Facevo fatica ad allenarmi perché passavo tutto il tempo a guardare lui. Emanava una luce di grandezza, un qualcosa di non terreno».

Baroni e Conte

Baroni tornerà a Napoli e si ritroverà di fronte Conte, già sfidato e battuto giovedì, già è stata ricordata la loro militanza nel Lecce di Barbas e Pasculli. C’era anche Baroni e Antonio era tra i più giovani. Marco si è tenuto tutte le emozioni dentro. Ieri non ha parlato, lo farà oggi. Per presentare Napoli-Lazio valgono le parole d’ordine offerte giovedì alla squadra e a tutti: «Sarà un’altra partita al Maradona. Non dobbiamo mai scendere da questo livello, non possiamo fare altre partite se non giocando come sappiamo. Sarà dura, ma noi non possiamo fare una partita diversa da quella che abbiamo fatto in Coppa. Ogni squadra ha un suo Dna, noi dobbiamo passare dal gioco e ci sarà da lavorare. Ci andiamo a giocare la partita».

Gli incroci

Baroni contro il Napoli non ha mai vinto da allenatore, cinque sconfitte su sei partite, un pareggio. E’ la sua bestia nera in serie A (cinque ko anche contro Inter, Torino e Juventus). Conte e Baroni non si sfidano in A dal 22 novembre 2009, si giocava Atalanta-Siena 2-0. E’ l’unico precedente. Sono trascorsi 15 anni e 16 giorni. Una vita fa. Tutto questo tempo ricorda a Baroni quanta strada ha dovuto fare, mettendo i piedi nella polvere, nel fango, prima di tornare al San Paolo da allenatore, con questa Lazio da urlo, a meno 4 dal Napoli capolista (lo era prima del sorpasso dell’Atalanta e dell’Inter, con una partita in più). Lui, El Cabezon della parte operaia del Napoli del secondo scudetto. Quel Baroni che nessuno pensava potesse segnare al posto di Maradona e che si sostituì alla mano del dio Diego.


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