Serie A oltre il confine: 11 club sono con proprietà straniera
Qua non è mica l’America. In fondo, però, è come se lo fosse diventata, un fondo dopo l’altro. Gli yankees hanno colonizzato il calcio italiano che, indebitato fino al collo, li ha accolti con tutti gli onori. Otto società su 20 in Serie A parlano ormai abitualmente con lo slang newyorkese o californiano e, in generale, 11 ora hanno proprietari stranieri. «Prima o poi nelle assemblee di lega la lingua ufficiale sarà l’inglese» premonivano prima della pandemia i dirigenti vecchia scuola, come Giorgio Perinetti. Stiamo andando proprio in questa direzione. È una curiosa immigrazione di ritorno: un secolo dopo, i nipoti di quei nonni che fecero le valigie e approdarono negli States per cercare fortuna sono ritornati per fare business. Le origini, dopotutto, non tradiscono: il viola Commisso è nato in Calabria, il rossonero Cardinale da bambino faceva le vacanze in Cilento, il finanziere Pagliuca, uomo-ombra del miracolo Atalanta, aveva il nonno lucano e persino Kyle Krause ha raccontato di avere parenti siciliani. In queste storie imprenditoriali, però, il romanticismo c’entra poco o nulla. Il campionato italiano rende meno di quello inglese, spagnolo o tedesco, il merchandising è arretrato (la Juve, la migliore delle italiane, vende 75 milioni di euro di maglie contro i 180 del Barça), gli stadi cadono a pezzi, la cultura sportiva è orientata al risultato più che allo show, eppure continuiamo a piacere all’estero perché qui i club in difficoltà si possono acquistare a buon mercato e poi rivendere dopo qualche anno di riassestamento dei conti.
Serie A, una miniera d'oro
Chi inciampa, ovviamente, ha margini di crescita maggiori. E i club portano con loro la storia delle città in cui risiedono: Roma, Firenze, Genova, Venezia, Milano, Como e in B anche Pisa e Palermo, attirano turisti da tutto il mondo e rappresentano miniere d’oro dal punto di vista commerciale. Il calcio, centro di gravità dei tifosi, per i fondi è poco più di un trampolino. Crescita del brand, sponsorizzazioni, una fanbase da 35 milioni di interessati, ricavi da sviluppare e managerialità nei ruoli chiave sono i filoni da sviluppare. Chi acquista un sodalizio italiano, insomma, compra un potenziale inespresso. Curiosità: nella classifica di Forbes sulle squadre che valgono di più al mondo ci sono rappresentanti degli altri campionati top d’Europa ma non della Serie A, in mezzo al dominio delle franchigie di Nfl, Nba e Mlb. Il modello che fa fare i soldi è americano, anche se sembra così distante dal nostro modo di intendere il pallone.
Serie A, gli stranieri guidano in maggioranza
Nelle questioni di palazzo, le proprietà non italiane hanno sonnecchiato per anni. Quando però si sono rese conto che gli interessi divergevano - da una parte la politica spinta e gli interessi personali, dall’altra il tentativo di spremere fino all’ultima goccia il limone dei ricavi per non sprofondare nei debiti - i giganti si sono risvegliati. Ora sono gli stranieri a guidare la maggioranza in Lega, avendo fatto cartello tramite Inter, Juve, Atalanta e Roma e mettendo in un angolo la Lazio di Lotito e il Napoli di De Laurentiis, non a caso esclusi dalla scelta sia del presidente sia dell’ad, oltre che dei consiglieri federali e dei consiglieri di Lega. Capitolo stadi: quelli che arrivano e poi ripartono (l’ex romanista Pallotta è l’esempio) mollano a causa delle difficoltà su questo fronte. Considerato che solamente Atalanta, Juve e Udinese hanno stadi di proprietà e che l’età media degli impianti nel nostro Paese è di 70 anni, questa continua a essere la madre di tutte le battaglie. Gli stranieri sono attratti dal mattone e, non a caso, tutti hanno promesso un progetto o l’hanno avviato. A mettere i bastoni tra le ruote è una burocrazia tremendamente lenta, nonostante ci sia una legge ad hoc per costruire gli stadi. Ma torniamo ai numeri. Agli otto americani si aggiunge un indonesiano che porta sul lago di Como le star di Hollywood e spende come le big, un canadese che ha condotto il Bologna in Champions dopo 60 anni e il romeno re dell’arredamento e del comparto immobiliare. Il Verona è appena passato al fondo Presidio Investors, il Torino sembra in vendita e il Monza, di proprietà Fininvest, è sul mercato da tempo. Anche Corsi dell’Empoli pare alla ricerca di soci. Gli italiani che resistono sono Giulini (Cagliari), gli Agnelli tramite Exor (Juve), Lotito (Lazio), Sticchi Damiani (Lecce), De Laurentiis (Napoli) e Pozzo (Udinese).
