Inter e Napoli, l'analisi: lo stato d'animo dei tecnici e quello psicofisico delle squadre

Il testa a testa Conte-Inzaghi nel più avvincente dei rush finali. Una cinquina di sfide che vale oro e dirà chi sarà Campione d’Italia
Massimiliano Gallo

Se fosse un incontro di pugilato, sarebbe il primo Rocky. Con lui e Apollo Creed che vanno al tappeto stremati e nessuno che sembra in grado di alzarsi. È in riserva l’Inter che si è consumata nell’ambizione da grandeur scomodando persino il triplete; ma ha poca benzina anche il Napoli che pure ha giocato solo il campionato. Se fosse una classica di ciclismo, invece, mancherebbe – e tanto – Adriano De Zan e il suo inconfondibile tono di voce: “Ecco il cartello che indica cinque chilometri al traguardo”. Inter e Napoli possono rallentare più o meno come vogliono, non sopraggiungerà alcun Moreno Argentin a beffarli come con Roche e Criquelion nella Liegi-Bastogne-Liegi dell’87. In realtà è calcio, e Inter e Napoli sono lì a pari punti, a cinque giornate dalla fine. I vantaggi e gli svantaggi ormai li conosciamo a memoria. Il calendario dice Napoli, sia perché ha partite sulla carta più semplici sia perché non deve andare a Barcellona a giocarsi una semifinale di Champions. Ma la forza della squadra dice Inter che sul più bello recupera Thuram, Dumfries e Zielinski: due assi più un jolly che potrebbe fare molto male indossando i panni del nuovo core ’ngrato (il primo fu José Altafini che nel 1975 segnò il gol che diede lo scudetto alla Juve e spense i sogni del Napoli).


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Il mondo interista è più nervoso. Almeno a giudicare da Simone Inzaghi che sembra soffrire del complesso di Atlante: si porta addosso il mondo intero e un carico di tensioni che la metà basta. Uno scudetto allo sprint lui lo ha già perso (proprio a Bologna) e sfoga la tensione andando su e giù per il campo come nemmeno Maicon. Il problema vero di Inzaghi, e del mondo interista tutto, è uno solo: Antonio Conte. Ci fosse stato qualsiasi altro sulla panchina del Napoli, sarebbe stato diverso. Ma perdere contro di lui, contro l’uomo che li ha salutati dalla sera alla mattina (e si è fatto pure pagare), proprio no. Sarebbe un affronto digeribile solo alzando la Champions. Altrimenti non basterebbe un tir di Maalox. E poi, diciamolo, il pensiero che ad allenatori invertiti sarebbe finita da un pezzo, non è nemmeno quotato. Attenzione, però. Chi ipotizza l’Inter in difficoltà, ha scarsa memoria. È una squadra vera, di campioni veri. Forti e orgogliosi, come lo sono i numeri uno. Due anni fa hanno giocato la finale di Champions contro una delle due formazioni più forti degli ultimi dieci anni e, per ammissione dello stesso Guardiola, hanno perso solo perché un calciatore si è divorato due gol davanti alla porta. Quel calciatore si chiama Romelu Lukaku l’attaccante feticcio di Conte. Non troppo amato a Napoli (e siamo benevoli), è il cardine attorno a cui ruotano gli azzurri. Non è solo questione di statistiche: 12 gol e 10 assist. Sono rari i gol che non partono da una spizzata o da un suo movimento. Se gira lui, gira tutto. Sennò, sono dolori. In confronto a Simone, Antonio sembra uno scacchista russo. Ed è quanto dire. Ma all’uomo il mare calmo non piace, la burrasca se l’è andata a cercare con un uno-due dialettico che ha agitato i tifosi e indotto De Laurentiis ad andare alle Maldive pur di non rispondere.


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Si ritrova senza Kvaratskhelia, senza Neres, e con Buongiorno ancora in infermeria. Checché ne dicano i suoi detrattori, solo lui avrebbe potuto portare il Napoli dal decimo posto allo sprint scudetto. Come fece col Chelsea. Ha estratto il meglio da ogni calciatore. McTominay e Anguissa i suoi capolavori. La sfida scudetto è anche un duello tra modelli economici: la realtà anonima dei fondi e la gestione quasi fisica di un imprenditore tutt’altro che invisibile. Il principio, però, è lo stesso: il calcio è business, prima di tutto i bilanci. Il fatto che anche i grandi club italiani stiano arrivando al modello degli ingaggi moderati e degli investimenti solo per calciatori di prospettiva, è una vittoria di De Laurentiis. Infine, una certezza che tristemente accomuna i due allenatori, sia pure con gradazioni diverse. Chi perderà, finirà sul banco degli imputati. Sia dopo l’entusiasmante stagione vissuta dall’Inter su tre fronti, sia dopo aver portato il Napoli a un testa a testa scudetto su cui nessuno (tranne Buffon e pochi altri) avrebbe scommesso un euro. Inzaghi rischia di più, potrebbe essere travolto dallo tsunami di polemiche. Ma anche Conte sarebbe criticato, soprattutto a Napoli. È la dura legge della narrazione.

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Se fosse un incontro di pugilato, sarebbe il primo Rocky. Con lui e Apollo Creed che vanno al tappeto stremati e nessuno che sembra in grado di alzarsi. È in riserva l’Inter che si è consumata nell’ambizione da grandeur scomodando persino il triplete; ma ha poca benzina anche il Napoli che pure ha giocato solo il campionato. Se fosse una classica di ciclismo, invece, mancherebbe – e tanto – Adriano De Zan e il suo inconfondibile tono di voce: “Ecco il cartello che indica cinque chilometri al traguardo”. Inter e Napoli possono rallentare più o meno come vogliono, non sopraggiungerà alcun Moreno Argentin a beffarli come con Roche e Criquelion nella Liegi-Bastogne-Liegi dell’87. In realtà è calcio, e Inter e Napoli sono lì a pari punti, a cinque giornate dalla fine. I vantaggi e gli svantaggi ormai li conosciamo a memoria. Il calendario dice Napoli, sia perché ha partite sulla carta più semplici sia perché non deve andare a Barcellona a giocarsi una semifinale di Champions. Ma la forza della squadra dice Inter che sul più bello recupera Thuram, Dumfries e Zielinski: due assi più un jolly che potrebbe fare molto male indossando i panni del nuovo core ’ngrato (il primo fu José Altafini che nel 1975 segnò il gol che diede lo scudetto alla Juve e spense i sogni del Napoli).


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