© Getty Images Bologna, Joey S. andò in finale
Sarà la prima finale di Giuseppe Saputo detto Joey, 60 anni, da undici proprietario e presidente del Bologna più per uno “scherzetto” poco dolcetto dell’avvocato Tacopina che per una sconfinata e inespressa passione per il club a sette note di Morandi e Cremonini, Mingardi e Mengoli, Carboni e l’indimenticabile Lucio, Domenico Sputo.
Invitato, quasi costretto, nel 2014 Saputo mise dei soldi pensando di partecipare a una cordata - 3 milioni di euro, si disse - ma in seguito si accorse che in cima alla cordata c’era lui e pure in coda. In mezzo, soltanto il vuoto. A perdere del denaro.
Per non lasciare i soldi, si prese tutto il pacco più rosso che blu e cominciò a versare milioni per ripianare i debiti accumulati dalla precedente gestione e, al tempo stesso, garantire la gestione ordinaria e un minimo di competitività.
Nei primi anni il Bologna l’ha quasi subìto e sopportato, spesso a distanza: molto s’è dovuto impegnare Claudio Fenucci, l’ad, per tentare di farlo innamorare della materia. Dopo qualche stagione altalenante e qualche dissenso, il tristissimo periodo della malattia di Sinisa ha aggiunto cupezza all’avventura. La morte dell’amatissimo tecnico è stato il “periodo impossibile”.
Per una serie di misunderstanding - la metto così - il rapporto tra il sottoscritto e il presidente è stato a lungo complicato: mi assumo le mie responsabilità e la chiudo qui. Quando mesi fa ci siamo rivisti casualmente sul Frecciarossa per Milano, la pace è stata siglata con una bella stretta di mano e un mezzo sorriso. Suo.
Da Motta in avanti Saputo ha cominciato a divertirsi e a vivere il meglio di Bologna e del Bologna pur conservando quella sorta di distacco (apparente) che altro non è che un’urgenza di riservatezza, oltre che un segno distintivo della famiglia italocanadese. Certo, qualche abbraccio l’ha pure incoraggiato e due o tre corse di gioia sul campo non sono mancate. L’uomo non è di legno.
Per farla breve, Saputo ha prima salvato il Bologna e poi l’ha rilanciato fino alla Champions dopo 60 anni e all’ultimo atto della coppa Italia dopo 51: perciò sono contento che possa godersi questo momento, la sfida col Milan, la squadra italiana più famosa all’estero.
Oggi grazie a lui, a Fenucci, a Sartori per la parte tecnica e Di Vaio per quella dei rapporti, il Bologna è una società modello che parla la lingua del realismo: verticale, ruoli e compiti chiari, autonomie individuali garantite e conti a posto. Mai il passo più lungo della gamba, ma anche mai più corto.
In una recente intervista alla tv canadese, realizzata da Groenlandia, il Nostro ha spiegato che intende lasciare al suo successore, quando verrà il momento, un’azienda a posto, strutturata, solida. Ambiziosa, sana. Il Bologna che pensavo di non rivedere più.
