Nella scuola Riva dove tra i talenti sbocciò Barella

Col pilastro dell’Inter e dell’Italia altri 20 mila bambini. Il motto:  «L’uomo prima del calciatore»

CAGLIARI - Dopo il Rombo di Tuono sui campi di Serie A, spuntò il sereno lontano dai riflettori. Dopo aver sfidato il vento, il tempo e pure la storia, arrivò finalmente la pace con le sembianze di un campetto in terra battuta dove riavvolgere il nastro dei sogni. Nell’età adulta e pure nella vecchiaia, Gigi Riva visitava ogni giorno i bambini della sua scuola calcio, la prima riconosciuta ufficialmente da Federcalcio e Coni nel lontano 1976. Una piccola isola felice dentro una grande isola che lui non ha mai smesso di chiamare casa. Poco prima di appendere gli scarpini al chiodo, Riva intuì che il talento dei sardi dovesse concentrarsi in un unico luogo: andò a cercarlo ovunque, da Cagliari a Oristano, da Sassari a Nuoro e fino a Olbia, viaggiando lungo la costa e setacciando pure l’entroterra. «Allora prevaleva in me, sportivo professionista ancora in attività, la finalità più prettamente tecnico-agonistica. Insomma, l’idea di poter formare soprattutto calciatori» il suo racconto. «Ma ben presto capii che quell’iniziativa, al contrario, doveva esulare dalla ricerca del campione e, invece, doveva porsi come finalità primaria quella di assecondare la crescita dei giovani sotto l’aspetto educativo e sociale, attraverso un’attività sportiva che li aiutasse a star meglio con se stessi e con gli altri». Tenne a questo vivaio - chiamato con il suo nome - come a una famiglia: lo volle, lo protesse, lo custodì e lo migliorò nel tempo, affinché diventasse la sua eredità d’amore per il gioco e una forma di riconoscenza nei confronti di quel popolo che l’aveva adottato.


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Il centro e i bambini

«Cambiò così radicalmente l’obiettivo e lo slogan divenne “formare l’uomo, prima ancora del calciatore”» ci racconta oggi il direttore generale Daniele Cortis. A proseguire l’esperienza di Gigi è suo figlio Nicola, mentre Cortis coordina le attività e organizza un lavoro quotidiano che non ha mai smesso di ispirarsi ai valori del fondatore. Martedì pomeriggio Cortis ha portato i ragazzi e gli istruttori alla camera ardente. «Per tutti noi il presidente resterà un gigante. Lo abbiamo sempre guardato con gli occhi dell’ammirazione, è stato una guida nei momenti difficili e oggi sentiamo il dovere di portare a termine il suo sogno: la costruzione di un centro sportivo per i bambini. Lo chiameremo Gigi Riva, ovviamente. Ma questo lo avevamo già deciso da tempo». Il progetto è in dirittura d’arrivo e solo la pandemia l’ha rallentato: la regione ha già assegnato all’associazione un’area accanto alla Unipol Domus per edificare una struttura con un campo da calcio a 11, altri da calcio a 7 e una tensostruttura polivalente


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Barella, "figlio" di Riva

In 48 anni la scuola calcio, prima situata alle Saline di Stato e poi all’Amsicora, ha permesso a 20 mila bambini di muovere i primi passi nel pallone. Oggi l’associazione ne accoglie 400, guidati da allenatori laureati in scienze motorie, e si distingue per progetti sociali e di inclusione, anche con bambini diversamente abili. In questo humus fertile - dove non mancano le problematiche, che poi sono le stesse di altre asd tra riforma del lavoro sportivo e costi triplicati - è cresciuto, a partire dai 5 anni, pure Nicolò Barella. «Gigi stravedeva per lui - ricorda Cortis - apprezzava il fatto che avesse un talento donato dal cielo, una famiglia solida e pochi grilli per la testa». Il centrocampista dell’Inter e della Nazionale lunedì ha appreso la notizia della scomparsa di Riva nell’intervallo della sfida con il Napoli a Riyad. Nella ripresa è tornato in campo con gli occhi gonfi di lacrime, poi ha scelto questo come unico messaggio da pubblicare sui social nella notte dell’ennesimo trionfo: «Ciao Gigi, immensamente grazie. Sei stato e sempre sarai il nostro mito». Per Nicolò è stato come un padre e lo stesso può dire Gianluca Festa, l’allenatore che lo fece esordire in Serie A nel 2015 e in passato primo della classe 1969 a esordire in Primavera. Festa giocò con Cagliari, Roma, Inter e poi in Inghilterra, prima di sentire forte il richiamo dell’isola e chiudere la carriera prima al Casteddu e poi nei dilettanti sardi. Questa terra è fatta di radici profonde anche se ti lascia spiccare il volo. È uno degli insegnamenti lasciati da Gigi Riva. 

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CAGLIARI - Dopo il Rombo di Tuono sui campi di Serie A, spuntò il sereno lontano dai riflettori. Dopo aver sfidato il vento, il tempo e pure la storia, arrivò finalmente la pace con le sembianze di un campetto in terra battuta dove riavvolgere il nastro dei sogni. Nell’età adulta e pure nella vecchiaia, Gigi Riva visitava ogni giorno i bambini della sua scuola calcio, la prima riconosciuta ufficialmente da Federcalcio e Coni nel lontano 1976. Una piccola isola felice dentro una grande isola che lui non ha mai smesso di chiamare casa. Poco prima di appendere gli scarpini al chiodo, Riva intuì che il talento dei sardi dovesse concentrarsi in un unico luogo: andò a cercarlo ovunque, da Cagliari a Oristano, da Sassari a Nuoro e fino a Olbia, viaggiando lungo la costa e setacciando pure l’entroterra. «Allora prevaleva in me, sportivo professionista ancora in attività, la finalità più prettamente tecnico-agonistica. Insomma, l’idea di poter formare soprattutto calciatori» il suo racconto. «Ma ben presto capii che quell’iniziativa, al contrario, doveva esulare dalla ricerca del campione e, invece, doveva porsi come finalità primaria quella di assecondare la crescita dei giovani sotto l’aspetto educativo e sociale, attraverso un’attività sportiva che li aiutasse a star meglio con se stessi e con gli altri». Tenne a questo vivaio - chiamato con il suo nome - come a una famiglia: lo volle, lo protesse, lo custodì e lo migliorò nel tempo, affinché diventasse la sua eredità d’amore per il gioco e una forma di riconoscenza nei confronti di quel popolo che l’aveva adottato.


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Barella, "figlio" di Riva