Il doppio volto della leadership

Il doppio volto della leadership
Alessandro Barbano
5 min

Ionut Radu e Marco Serra, pari e patta. Il portiere dell’Inter con una papera clamorosa restituisce a Pioli il favore indiretto che l’Inter ha ricevuto dall’arbitro di Milan-Spezia il 17 gennaio scorso e regala la vittoria a un commovente Bologna. La lotta per lo scudetto riparte da 74 a 72 per il Milan, che negli scontri diretti prevale sui nerazzurri. Per vincere Inzaghi deve rimontare tre punti nelle quattro partite che restano. Un’obiettivo che resta alla sua portata, visto anche il favore del calendario. 

Ma la gara del Dall’Ara dimostra che il vero sconfitto di questo campionato è il pronostico. Non c’è nessuna squadra che possa scendere in campo certa di far valere la propria maggiore classe e le proprie più forti motivazioni. L’Inter fortissima, che fortissimamente vuole lo scudetto, si piega a un Bologna che non ha nulla da chiedere a sé, e nulla da perdere, e per questo gioca con un’olimpica serenità. E con raziocinio tattico, che riceve continui aggiustamenti nelle telefonate tra il Sant’Orsola Malpighi, dov’è ricoverato Mihajlovic, e il rettangolo di gioco, dove il suo vice, Miroslav Tanjga, ascolta ed esegue. 

È d’acciaio il filo dell’empatia che lega il tecnico serbo ai suoi ragazzi, tra i cui occhi complici passa, visibile, una solidarietà che ha del sacro. La vedi in area di rigore dove, sotto la guida di un gigantesco Medel, si producono in salvataggi a ripetizione, abbracciandosi poi l’un l’altro come fratelli. La vedi in mezzo, dove riescono a tenere palla e a sottrarsi al pressing dell’Inter, distendendosi in contropiede. E la vedi davanti, dove la riconosciuta autorità di Arnautovic, suoi sette degli ultimi nove gol del Bologna, ispira le giocate più geniali di Barrow, regista avanzato ideale per qualunque squadra di vertice, se solo avesse un po’ di carattere in più. Intendiamoci, il Bologna non è perfetto. Poiché in non poche occasioni lascia all’Inter lo spazio per tirare a ridosso dell’area di rigore, ma la squadra di Inzaghi sente crescere, a ogni minuto che passa, il fardello psicologico dell’obbligo di vincere. Fino a restare schiacciata da questa responsabilità. 

La prestazione nerazzurra è un’esplosione retrograda, che esprime nei primi dieci minuti tutta la capacità di sedurre l’avversario e tutta la voluttà di vittoria, e poi si riavvolge lentamente su stessa, fino ad annichilirsi in una paralisi del corpo e dello spirito. Tra Perisic e Radu ci sono le grandi distanze prestazionali di un campionato atipico, dove vince chi sbaglia di meno. Il croato non sbaglia niente. Dovunque riceva palla, passa. Di scatto o con l’uno contro uno. Propizia con un tunnel il tiro che vale il vantaggio e il suo sesto gol in questa stagione. Il portiere romeno invece sbaglia quel poco che c’è da sbagliare. Se è accaduto a Buffon, può accadere anche a lui. Ma una gaffe può passare alla storia se cambia il corso degli eventi. 

Che cosa hanno in comune i primi venti minuti dell’Inter e il resto della gara? Niente. In campo c’è la squadra prepotente, razionale, ficcante che sembra poter schiacciare chiunque, e allo stesso tempo un’altra tesa, esitante, confusa, macchinosa fino a imballarsi del tutto. Il centrocampo magisteriale dei trentadue tra gol e assist può smarrirsi, se la luce del faro Brozovic viene oscurata da un’onesta marcatura a uomo che lo costringe a restare fuori da tutte le azioni offensive. 

Questo per dire che ciascuna squadra, anche le due candidate allo scudetto, ha punti di debolezza che una ordinata provinciale può centrare. E quattro ordinate provinciali attendono l’Inter nel rush finale di questa cavalcata così mediocre, eppure così esaltante. Contentiamoci del paradosso.


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