Inter, non è solo colpa di Lukaku

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Inter, non è solo colpa di Lukaku© LAPRESSE
Alessandro Barbano
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I quattro gol con il Belgio sono già un ricordo lontano, il Lukaku visto ieri è l’elefantiaco ectoplasma del cannoniere che fu. Ma la sua involuzione non spiega tutta la crisi dell’Inter, che ha rimediato la decima sconfitta in campionato - le ultime tre di seguito - su ventotto gare giocate. C’è un male oscuro che attanaglia l’agonismo e la lucidità dei singoli, ma soprattutto l’empatia delle relazioni in campo, e che induce un altruista come Mkhitaryan a fallire un gol difficile invece di eseguire un assist elementare. La sfiducia si è impossessata delle coscienze nerazzurre, come una febbre strisciante che ottenebra l’intuito sull’ultimo miglio di ogni gesto atletico, che sia il tocco a porta vuota mancato dal centravanti belga o la scarpata di Dumfries su Terracciano in uscita.

Quinto successo consecutivo per la Fiorentina

Fiorentina e Inter se la giocano a chi sbaglia di più e, al netto del risultato, è difficile stabilire a chi spetti la palma del fallitore seriale, tante sono le occasioni sfumate a un passo dal gol. Ma a centrocampo, dove si decide chi comanda, i viola hanno più ritmo, più palleggio e più intesa. Anche se spesso con un’ingenuità sconcertante si scoprono al contropiede dei padroni di casa, trovandosi a difendere in inferiorità numerica. Ma l’Inter non ha né la velocità né la determinazione per portare al gol neanche una delle tante verticalizzazioni che le distrazioni della retroguardia viola offrono a Lukaku e compagni. Così, grazie a una torsione di Cabral che vale almeno quanto il gol di Bonaventura, Italiano mette al sicuro la quinta vittoria consecutiva e avvista l’Europa.

Inter, qualcosa si è rotto

Per Inzaghi il bilancio è preoccupante, al di là dello stesso risultato. Perché non è ammissibile che una squadra costruita per vincere in Italia e all’estero subisca il dominio del gioco contro un’outsider sulla carta inferiore in tutti i reparti. Segno che la crisi di fiducia ha intaccato come una ruggine l’impalcatura tattica. È come se il triangolo su cui poggia, tutta intera, l’ambizione nerazzurra avesse perso i lati: nei tre vertici di cui si compone, Brozovic, Barella e Mkhitaryan corrono ognuno per conto proprio, ma non paiono più in relazione, come se qualcosa si fosse irrimediabilmente spezzato nel vicendevole palleggio e scambio di posizioni che fa di una regia una responsabilità solidale. L’armeno è ancora il più ispirato, il cagliaritano il più tenace e ubiquo, il croato il più prevedibile e lento. In ogni caso nessuno dei tre sembra in grado da solo di imporre quella leadership che nell’era Conte portò l’Inter al trotto verso lo scudetto con tre sole sconfitte in tutta la stagione. Certo, l’evanescenza di Lukaku ha un peso non indifferente. Due anni fa mise a segno ventiquattro gol, per ora si è fermato a tre. La performance di ieri mostra plasticamente la gravità della sua crisi: il gigante belga è presente in quasi tutte le azioni offensive e lotta su tutte le palle che riceve, ma incespica in errori di concentrazione e di tempismo, che raccontano un impasse psicologico prima che atletico.

Stagione in salita

Con la Lazio che a Monza può staccare il gruppetto “europeo”, per Inzaghi il finale di stagione è un carico di responsabilità che rischia di farsi troppo pesante. Non può perdere terreno in campionato, e allo stesso tempo deve concentrare le migliori energie per Coppa Italia e Champions. Dove la Juve risanata e un Benfica in ottima salute l’aspettano al varco. Dopo aver mischiato fin qui le carte in tutte le possibili combinazioni del suo tre-cinque-due, è chiamato a mettere in discussione un modulo che, con gli uomini che si ritrova, non lo garantisce in mezzo e non fa la differenza sulle fasce. Chissà se dopo dieci sconfitte non consideri ipotesi diverse ed estranee al proprio orizzonte tattico. Come quella che preveda l’impiego simultaneo di Brozovic, Calhanoglu, Mkhitaryan e Barella. Un quattro-quattro-due che ora suona come una sfida alla sua rigidità.


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