L'Inter e gli approcci alla Simone Inzaghi

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Ivan Zazzaroni
4 min

Quelli che parlano in calcese lo chiamano approccio anche se non ha niente a che vedere con la seduzione: ne abusano ripetutamente per definire l’atteggiamento iniziale di una squadra. Mi adeguo malvolentieri e mi sento di poter dire che Inzaghi abbia lavorato parecchio sull’approccio dei suoi, visto che tanto a Monza sabato scorso quanto ieri sera a Riyad ha spinto immediatamente sull’acceleratore riuscendo a spaventare l’avversario con una manifestazione di schiacciante superiorità.

Trascorsi i primi venti minuti a una porta sola, le cose non sono comunque cambiate (approccio prolungato): il centrocampo dell’Inter ha infatti continuato ad avere il sopravvento su quello di Sarri, che mancava di Luis Alberto (inizialmente) e Zaccagni, mica fichi, fondamentali per palleggio il primo e contropiede il secondo. Nel solo primo tempo ho contato quattordici conclusioni verso la porta di Provedel, gol di Thuram e traversa di Barella compresi. E subito dopo l’intervallo il rigore realizzato da Calhanoglu ha svuotato irrimediabilmente la Lazio, travolta dal ritmo e dalla qualità dei primi in classifica. La finale di lunedì è dunque Inter-Napoli, accostamento che mi riporta da sempre a Giorgione Chinaglia (chi ha qualche decennio ha capito). A Inzaghi, specialista del dentro o fuori, non si può suggerire proprio nulla, a Mazzarri consiglio invece di stare attento all’approccio. A quello rapido e anche al prolungato.

Due parole (non mie) sulla Supercoppa extralarge a Riyad: ho trovato centratissima l’analisi di Max Gallo de ‘Il Napolista’, sito sportivo tra i migliori del web. Criticando l’atteggiamento ipocrita di chi ha censurato la scelta della sede araba, Gallo scrive: «... L’impalcatura culturale dell’attaccamento alla maglia, dell’amore per i tifosi, per determinati luoghi. Gli stessi tifosi che contestano la scelta di giocare in Arabia Saudita, poi alzano la voce se i loro club non si indebitano in sede di mercato. Vogliono i calciatori forti ma anche le partite sotto casa, possibilmente a prezzi bassi. Una bolla infantile che però nessuno fa scoppiare, tranne rare eccezioni. Tornando ai novemila spettatori per Napoli-Fiorentina, è un dato che non deve scandalizzare. La Serie A è andata in Arabia perché incassa 23 milioni di cui 8 vanno alla vincitrice e 5 alla finalista. Il Napoli quindi ne ha già incassati 5, cioè due volte il costo di Mazzocchi. In Italia nessuno avrebbe sborsato 23 milioni per tre partite tra squadre italiane. Quindi la Lega Serie A stavolta si è mossa bene, ha fatto un affare… A meno che - ed è l’unico argomento valido - non si voglia sollevare il problema dei diritti civili in Arabia Saudita. Ma non ricordiamo dal calcio italiano memorabili (ma anche non memo-rabili) battaglie per i diritti degli omosessuali o per l’uguaglianza delle donne. Sono temi del tutto inesistenti e quando il calcio vi inciampa, mostra sempre un’arretratezza ai limiti del disgustoso»

«Sì nel calcio il pubblico è importante - prosegue - ma lo è sempre meno dal punto di vista degli incassi. Almeno il pubblico degli spalti. Ormai è chiaro che il calcio non si regge sul botteghino. Contano lo share televisivo, gli sponsor che hanno investito nell’evento, in questo caso il Paese che ha ospitato la Supercoppa perché ha sborsato un bel po’ di soldini. Il resto è la solita solfa ipocrita. Quindi alla domanda: dove sta andando il calcio? Secondo noi la risposta è: dove è sempre andato e sempre andrà: alla ricerca di soldi. E la Lega Serie A ne ha trovati abbastanza, benedetti e si spera subito. Sarebbe da premiarla se non si dovesse sempre vergognare pubblicamente del denaro».

I milioni sono 23 all’anno per 4 anni, scadenza prolungabile di altri due. Luigi De Siervo, l’ad, è incredibilmente riuscito a vendere la fontana di Trevi agli arabi che all’ultimo avevano addirittura sperato di far saltare l’accordo. La verità è che da almeno venticinque anni (sacrosanta battaglia in Lega dell’inascoltato Giuseppe Gazzoni Frascara, presidente del Bologna, nda) non siamo in grado di presentare un calcio appetibile all’estero. Per cui prendiamo quel tanto che ci danno. E ringraziamo.


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