Scudetto Inter per Simone, l'Ernesto e il Moratti

Ivan Zazzaroni
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A grandi sorsate l’Inter si ubriaca di stelle. Sono finalmente due. La seconda l’ha staccata dal cielo di Milano proprio nel derby, un derby freddo, rovente solo nel finale: ho ancora negli occhi il volto di Pioli che sembrava si chiedesse cosa ci faccio ancora qui? Con quale spirito - domando io - potrà aver preparato la partita? È stato tutto così strano e in parte già scritto dalla solita manina impertinente: il gol che ha aperto la serata l’ha segnato Acerbi, protagonista dell’unico imbarazzo provato dalla squadra e dalla società negli ultimi mesi, e insomma come si può dubitare del destino e della sua forza?

Sono felice per Simone Inzaghi, con quel modo tutto suo di fare l’allenatore. Non è un grande comunicatore, sa però parlare ai giocatori, li responsabilizza e tranquillizza, ed è la cosa che più conta.

Il dominio stagionale è stato fin troppo evidente, frutto anche di assolute sorprese quali Thuram e Sommer. L’estate scorsa non immaginavo che potessero fare addirittura meglio di Lukaku e Dzeko, che metto insieme, e Onana. Ho il sospetto, fondato, che i due abbiano stupito, e non poco, anche chi li ha presi, Piero Ausilio, e chi ne ha avallato l’acquisto, Beppe Marotta.

La squadra apprezza la lealtà, oltre alle idee, di Simone. Che ha una sola parola perché ha una sola convinzione.
Stella o non stella, mai così Inter come quelle di Pellegrini e Moratti. Non ce l’ho con Steven Zhang, lui non ha colpe, ma almeno quelli i soldi li mettevano sul serio ed erano i loro soldi, miliardi di lire e poi milioni di euro. E genuina e potente e soprattutto antica era la passione che li muoveva.

Ieri ho letto l’intervista di Franco Vanni all’Ernesto, del quale mi onoro di essere amico. Un paio di passaggi mi hanno colpito. Quando dice che «la notte sogno ancora i giorni dello scudetto. Al risveglio impiego qualche istante a realizzare che è successo davvero. Lo stesso succede con la coppa Uefa di trent’anni fa. Ed è incredibile come certe imprese uniscano gli uomini che le hanno compiute». Al punto che due mesi fa lo stesso Pellegrini organizzò un volo privato per consentire agli ex compagni di squadra di Andy Brehme, morto il 20 febbraio scorso, di andare a Monaco di Baviera a ricordarlo in presenza.

«Zhang mi piace», questo l’altro momento segnalabile della chiacchierata con l’ex presidente. «Educato, rispettoso, eravamo seduti vicini a San Siro, poi lui ha smesso di venirci». Perché non lo stanno facendo uscire dalla Cina.

Di Massimo Moratti credo di aver raccontato negli ultimi trent’anni tutto quello che sapevo: nell’autunno del ’94 mi rilasciò un’intervista esclusiva per questo giornale nella quale ipotizzò la sua Inter, a quel tempo non pensava di poterla acquistare. Qualche mese dopo, a febbraio, l’impresa gli riuscì. Ogni venerdì - lui scaramantico anche più del sottoscritto - lo raggiungevo in Saras ed erano racconti e battute e piccole provocazioni. Nel suo ufficio tutto sapeva di Inter, alle spalle di Moratti la foto di “Veleno” Lorenzi.

Moratti resta il più grande presidente della storia interista, con il Triplete di Mourinho ha raggiunto e verosimilmente superato il padre Angelo.

La seconda stella dell’Inter non sarebbe mai arrivata senza Pellegrini, Moratti e un calcio che per chi ha avuto la fortuna di viverlo resta ineguagliabile. Non sono mai stato un tipo nostalgico, vivo il presente e del passato non conservo nulla. Ma Pellegrini e Moratti non trasmettono il veleno della nostalgia, solo la speranza o l’illusione di qualcosa di più vero e autentico. Più di calcio. 


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