Inter, Barella: "Riva un maestro, così ho ritrovato la passione per il calcio"

Introspezione, curiosità e retroscena: il centrocampista sardo si è raccontato in esclusiva nel corso di un'intervista a Matteo Caccia

"Senza Vendersi Mai - Matteo Caccia intervista Nicolò Barella", disponibile su YouTube e Spotify, sui canali ufficiali di Matteo Caccia, è stata molto più di una semplice intervista a Nicolò Barella. Il centrocampista dell'Inter si è raccontato a cuore aperto; ha avuto modo di farsi conoscere al di fuori del campo da gioco svelando i suoi pensieri più intimi: dal rapporto con la vittoria e la sconfitta, alla sua crescita personale e professionale. Un viaggio emozionante alla scoperta di un campione che non ha avuto paura di mostrare le proprie fragilità.

Barella, il ruolo di padre e la passione per il buon vino e la cucina 

Barella ha rotto il ghiaccio parlando di cosa significhi per lui essere padre: "Mi piace tutto, è una scelta che ho fatto da giovane. Sono cresciuto in una famiglia numerosa. A turno tutti hanno un po' fatto i genitori e mi è sempre piaciuta questa cosa. Quando ho conosciuto la donna giusta, mia moglie, abbiamo deciso di mettere subito su famiglia. Spero di essere un buon padre, un padre presente. Se cucino? Mi diverto, è una cosa che mi piace per passare il tempo. Quella del vino e della cucina è una passione che mi è entrata dentro. Mi piace visitare ristoranti e cerco di dilettarmi almeno nelle basi".

Barella, la vita fuori dal campo e la passione per il calcio

Barella ha poi raccontato la sua vita fuori dal campo: "Non posso svegliarmi alle 11, devo portare i bambini a scuola. Mi alzo alle 7.30, faccio colazione, porto le bambine a scuola e vado al campo. Di solito pranziamo lì e poi andiamo a casa. Alle 15 riprendo le bambine e ognuna fa il suo sport. Poi dopo cena quando vanno a letto ti puoi ritagliare il tempo per tua moglie e per parlare".

La passione per il calcio: "Rimane un gioco prima di essere un lavoro. Mi ha dato tanto e la possibilità di far vivere la mia famiglia in un certo modo, ma resta una passione. Ci sono delle cose non piacevoli anche nel calcio. Ci sono le critiche, i social che spingono la gente a dire cose che prima si dicevano al bar. Questo diventa un impegno per la testa. Magari ti porti a casa i malumori. Resta una passione ma poi diventa un lavoro con la sua bellezza e le sue difficoltà".


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Alle origini di Barella

Poi un salto all'indietro: "I sacrifici li facevano i miei genitori. Non è stato un peso ma una cosa bella. Ho coltivato tante amicizie e sono stato anni con compagni che sono diventati amici. Posso solo dire grazie al calcio. Mi sono divertito da morire. Da grandi è un altro percorso, è più impegnativo. Ho capito che il calcio per me poteva diventare un lavoro con le prime convocazioni in Nazionale. Conosco tantissimi che non ce l'hanno fatta, giocatori che sembravano fenomeni. Quando ho fatto il salto dalla Primavera del Cagliari alla prima squadra non ero pronto, ma iniziavo a pensare di poterci stare. Magari in quel momento non pensavo di diventare un giocatore dell'Inter e della Nazionale, ma solo mettere la maglia del Cagliari era una roba folle".

La differenza tra chi arriva e chi non riesce a sfondare: "Ho vissuto tante situazioni, ci sono tanti motivi. I miei giocatori hanno fatto sacrifici per portarmi a giocare, magari altri non potevano o non avevano tempo. Ci sono di mezzo gli infortuni, la forza mentale, se sei pronto ad allontanarsi da casa. Andare via dalla Sardegna a 13 anni è difficile, noi siamo molto legati alla nostra terra. La forza interiore deve aiutarti a fare la scelta giusta. Non tutti l'hanno fatta. Può succedere".

Barella, un uomo fieramente sardo

Barella è fieramente sardo: "Sono molto tosto e duro nelle idee e nel modo di essere.  Questa è la caratteristica che mi rende più sardo in assoluto. Io non mi vendo, non dimostro cosa non sono. Posso anche stare antipatico, questo me lo riconosco, non ho problemi. Non tutti accettano il mio modo di essere, anche io sto cercando di limare il carattere. Preferisco sbagliare davanti a tutti rispetto a nascondermi".

Barella sardo e ormai uomo: "Sono cambiato tantissimo. Essendo molto duro, mi piaceva litigare e fare le guerre e cose che non facevano bene a me e agli altri. Volevo trovare problemi che non esistevano e mi facevano dei film. Ora sono molto più sereno, anche in campo. Sono cambiato, come nella vita. Stare con la mia famiglia mi ha insegnato che ci sono problemi più grandi, mi hanno fatto capire che il calcio è importante ma c'è altro. Il pensiero di una persona può essere importante, ma rimane là: pensa quello che vuoi, poi chiudo la porta di casa mia e lì ci sono le soddisfazioni della vita".


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Barella sul saluto ai giocatori del Milan dopo la vittoria della seconda stella

La maturazione si è estesa anche al rettangolo di gioco: "Prima volevo solo dimostrare, ora se una partita posso mi metto da parte e aiuto i compagni anche senza gol e assist. L'anno scorso ho fatto due gol ed è stato l'anno in cui sono stato più contento nella mia vita. A me piace esprimermi in campo: spesso sbaglio e spesso faccio bene. Magari faccio in campo qualcosa che non farei mai fuori: do un calcio all'avversario, non vado in giro a dare calci alla gente, ma in campo sei in un momento di adrenalina e pensi di voler vincere. La cosa che mi rende orgoglioso è quando un avversario mi fa capire anche in campo che sono forte. I miei compagni mi fanno sentire Dio, ma c'è anche l'amicizia e il rispetto e questo condiziona: quando riesci a pensare questo dell'avversario, vuol dire che lo pensi veramente".

Barella ha spiegato il suo saluto ai giocatori del Milan dopo la vittoria dello scudetto della seconda stella con l'Inter: "Mi sono sentito di dargli la mano, l'ha fatto anche qualcun altro. L'ho fatto perché so cosa vuol dire perdere. Ho perso una finale europea Under 19, ho lasciato un Mondiale perché mi sono rotto la mano e siamo arrivati terzi. Sono retrocesso col Cagliari e col Como, ho perso una finale di Champions ed Europa League: so cosa vuol dire perdere. Ho vinto tanto, ma è molto più facile spiegare cosa vuol dire vincere: perdere non sai cosa comporta dopo, ti fai un'estate brutta, pensi che non rigiocherai mai più una finale o un campionato così. Il tifoso non ci pensa ed è giusto, ma ci sono tante situazioni che creano disagio".

Barella, i tifosi e le critiche

I tifosi visti dagli occhi di Barella: "Il tifoso logicamente non può sapere tante cose. Se giochi male non è che lo vuoi. Ci sta che hai avuto un problema in settimana, anche nella vita privata: puoi aver avuto la giornata no. E poi se tu perdi non puoi essere solo tu il problema: il tifoso fa fatica a capirla perché vuole che la squadra vinca. Noi in campo vogliamo vincere, ma ci sono situazioni che non puoi controllare: la critica ci sta, va bene, però non accetto mettere in mezzo la vita privata e la famiglia, perché non sai quella persona cosa sta vivendo. Mi dà fastidio, coi social tutti possono esprimere il pensiero e rimane. Noi siamo umani e quando una critica è rivolta alla persona e non al calciatore, è diverso. L'uomo dovrebbe essere rispettato".


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Il Barella più intimo: "Mi sono sentito solo e senza più passione"

Cosa comporta sapere che il proprio cartellino ha un valore considerevole: "Sono arrivato da Cagliari come il giocatore più pagato della storia dell'Inter prima che arrivasse Lukaku. Ovviamente crei aspettative. Io la vivevo serenamente, in quel momento ho scelto la squadra migliore per me ed era solo felicità. Costare 100 o 30 non mi cambia niente. Cambia la valutazione della gente, ma se gioco male gioco male se costo 100 o gratis".

Barella ha parlato anche di un momento difficile: "Quando tutti mi criticavano e dicevano che non ero lo stesso Nicolò, mi sono sentito solo. Non rendevo per questioni mie personali e perché era un momento in cui non avevo una grande passione per il calcio, era solo lavoro. Non ne ho mai parlato perché ho una moglie. Ho parlato con lei, amici e compagni. Loro in quel momento mi hanno fatto sentire come fosse un momento normale che dovevo solo superare. Poi è arrivato il gol col Napoli e da lì ho ripreso. La passione può calare. Non è che ti va via, molte cose magari diventano pesanti: il ritiro, andare all'allenamento, fare le corse. Però se ti viene a 26 anni è un problema. A me è venuto ed ero spaventato: è difficile parlarne, molto. Ma succede spesso e a tutti i livelli. Chi gioca a livelli più bassi può dire che non può smettere perché non ha abbastanza soldi. Io se decido di smettere, posso vivere uguale, ma sarebbe troppo facile dire basta".

I ricordi più belli

I ricordi più belli: "Il gol di Napoli è stato molto importante per me in un momento difficile. Una partita che mi è piaciuta un sacco, è stata la finale di Coppa Italia contro la Juve vinta 4-2. Ho fatto gol dopo 7 minuti e pensavo fosse finita, eravamo talmente forti. Poi nel secondo tempo loro hanno fatto due gol ma mi sono divertito perché ho capito veramente la forza mentale di tanti campioni. I miei compagni si sono accesi e hanno detto: "basta giocare, bisogna vincere". Me la ricorderò sempre, è come se la squadra si fosse accesa. Ed è successo anche l'anno dopo contro la Fiorentina".


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Barella, l'Inter e le passioni oltre il calcio

Barella e l'Inter: "Sono sempre stato un grande tifoso del Cagliari, era il mio sogno. Ho tanti parenti e amici tifosi dell'Inter e quindi ho gioito con loro delle vittorie dell'Inter. Per me è sempre stata tra le grandi quella per cui ho sempre simpatizzato: mi è sempre piaciuta la storia e i colori. Quando l'Inter vinceva, ero felice come fosse il Cagliari. Cagliari è casa ed è nel mio cuore, l'Inter ci è entrata".

Le passioni oltre il calcio: "Il ciclismo. C'era un periodo che ero malato di NBA, non avevo ancora le bambine e guardavo le partite di notte. Quando mi piace una cosa entro nel mood. Il vino? Non sono esperto, ma appassionato perché il migliore amico di mio padre aveva delle vigne e io da quando avevo 8 anni fino a che non ho iniziato a giocare fuori, facevo la vendemmia. Mi è rimasta quest'attrazione per il vino ma non ho mai bevuto un bicchiere fino ai 18 anni: mi piaceva imbottigliare. Si soffriva a fare tutto ma mi è rimasta la passione delle bottiglie e con i primi soldi ho collezionato le etichette delle varie bottiglie. Poi c'è stato il lockdown e ho cominciato ad assaggiarlo: è una bella passione ma devi gestirla. I miei preferiti sono Borgogna, Bordeaux e Barolo. Una passione dispendiosa ma bella: quando bevo un bicchiere di vino mi resta impresso con chi l'ho bevuto e di cosa ho parlato".

Il ricordo di Riva

Toccante il ricordo di Gigi Riva: "Il mio maestro. L'ho sempre stimato, oltre il calciatore, per questo suo modo di essere. Lui ha sempre tenuto la sua immagine per sé dandola a chi voleva lui, non a tutti. Per questo è stato così amato a Cagliari, era più sardo dei sardi. Sono così anche grazie a lui. Quando l'Italia ha vinto nel 2006 lui è sceso dal pullman dicendo "avete vinto voi, festeggiate" ed è andato via a piedi. Questo era lui. Quando lui è scomparso ho fatto una scelta molto dura di non andare al suo funerale perché quello che ho vissuto con lui volevo tenerlo per me. Non volevo essere li mentre lo portavano via: l'ho vista in tv ed è stato emozionante. Non so se lo rifarei, ma mi sentivo di fare cosi".


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"Senza Vendersi Mai - Matteo Caccia intervista Nicolò Barella", disponibile su YouTube e Spotify, sui canali ufficiali di Matteo Caccia, è stata molto più di una semplice intervista a Nicolò Barella. Il centrocampista dell'Inter si è raccontato a cuore aperto; ha avuto modo di farsi conoscere al di fuori del campo da gioco svelando i suoi pensieri più intimi: dal rapporto con la vittoria e la sconfitta, alla sua crescita personale e professionale. Un viaggio emozionante alla scoperta di un campione che non ha avuto paura di mostrare le proprie fragilità.

Barella, il ruolo di padre e la passione per il buon vino e la cucina 

Barella ha rotto il ghiaccio parlando di cosa significhi per lui essere padre: "Mi piace tutto, è una scelta che ho fatto da giovane. Sono cresciuto in una famiglia numerosa. A turno tutti hanno un po' fatto i genitori e mi è sempre piaciuta questa cosa. Quando ho conosciuto la donna giusta, mia moglie, abbiamo deciso di mettere subito su famiglia. Spero di essere un buon padre, un padre presente. Se cucino? Mi diverto, è una cosa che mi piace per passare il tempo. Quella del vino e della cucina è una passione che mi è entrata dentro. Mi piace visitare ristoranti e cerco di dilettarmi almeno nelle basi".

Barella, la vita fuori dal campo e la passione per il calcio

Barella ha poi raccontato la sua vita fuori dal campo: "Non posso svegliarmi alle 11, devo portare i bambini a scuola. Mi alzo alle 7.30, faccio colazione, porto le bambine a scuola e vado al campo. Di solito pranziamo lì e poi andiamo a casa. Alle 15 riprendo le bambine e ognuna fa il suo sport. Poi dopo cena quando vanno a letto ti puoi ritagliare il tempo per tua moglie e per parlare".

La passione per il calcio: "Rimane un gioco prima di essere un lavoro. Mi ha dato tanto e la possibilità di far vivere la mia famiglia in un certo modo, ma resta una passione. Ci sono delle cose non piacevoli anche nel calcio. Ci sono le critiche, i social che spingono la gente a dire cose che prima si dicevano al bar. Questo diventa un impegno per la testa. Magari ti porti a casa i malumori. Resta una passione ma poi diventa un lavoro con la sua bellezza e le sue difficoltà".


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