Alla Continassa sbocciano delle belle rose ma con qualche spina. Motta e Giuntoli non ne sono sorpresi: essendo tutto nuovo s’aspettavano, senza temerne le conseguenze, qualche intoppo. «Il progresso è un processo», è il messaggio che non a caso la dirigenza della Juve ha voluto affidare ai canali social del club dopo lo 0-0 contro il Napoli, il terzo pareggio consecutivo senza gol in campionato. C’è stato tanto di buono fin qui: valgano come esempi la difesa dei corazzieri, la migliore in Europa perché non ha subito neppure una rete in quasi 500 minuti di gioco, la brillantezza di alcuni singoli come Bremer, Gatti, Locatelli, Di Gregorio e Cambiaso, l’entusiasmo che si respira all’interno del gruppo e anche la luna di miele con i tifosi che allo Stadium hanno sempre fatto registrare il tutto esaurito. Alcuni aspetti, però, inducono a riflessioni più ampie e approfondite dopo il primo ciclo di partite della gestione Thiago.
Motta, il rebus Vlahovic
Vlahovic, ad esempio, resta un rebus complicato da risolvere. Contro il Napoli ha toccato solo sei palloni prima di essere sostituito all’intervallo senza mai mettere piede nell’area avversaria, non segna da un mese e spesso appare “scollegato” dai compagni, anche se il tecnico ne ha evidenziato pubblicamente la predisposizione al sacrificio e la disponibilità a smussare i lati di un carattere esuberante e inquieto. Dusan non è ancora lo Zirkzee di Bologna, cioè il regista dell’attacco che sa trasformarsi quando serve in rapace finalizzatore, e chissà come potrà reagire a livello emotivo all’ennesimo tentativo di contrattazione che si aprirà nelle prossime settimane tra Giuntoli e il suo manager Ristic sullo stipendio da 23 milioni lordi l’anno che la Juve intende ammorbidire. Molto delicata è anche la questione Danilo: non vede mai il campo, neppure quando uno dei centrali titolari si ferma per infortunio come è accaduto a Gatti contro il Napoli. Sabato Thiago ha preferito spostare Kalulu al centro e al brasiliano - 5’ in 5 gare - continua a restare solamente la speranza di non perdere il posto pure nella Seleçao, nazionale della quale è capitano. A Torino ripetono che non c’è alcun caso e che Danilo non gioca perché gli altri, al momento, hanno qualità e ritmi più graditi all’allenatore. Tutto legittimo. Di sicuro, però, il difensore non sembra più così convinto di restare oltre il 30 giugno, quando dovrà decidere se far scattare il prolungamento automatico fino al 2026.