TORINO - L’umiltà e la gratitudine, come certi fiori, non crescono ad alta quota. Bisogna cominciare dal basso e sporcarsi le gambe nel fango per diventare Andrea Cambiaso: «Io e Gattone siamo dei sopravvissuti, partiti dai dilettanti e arrivati alla Juve. Mi sento fortunato ogni giorno che apro gli occhi». È l’uomo del momento quello che alla Continassa, in un pomeriggio di pioggia, fa improvvisamente uscire il sole con un sorriso contagioso. Motta non lo toglie mai dal campo, il ct Spalletti ne è appena diventato dipendente, lui potrebbe fregarsene del mondo e invece si presenta al nostro appuntamento chiedendo scusa per un banalissimo ritardo di tre minuti. «Non è da me», dice quasi con imbarazzo.
L'intervista a Cambiaso
Cambiaso, lei è nel tempo giusto. Il migliore della sua storia.
«Ho fame, ho voglia di arrivare. Se penso alla strada fatta e a dove sono oggi mi gira la testa. Quindi preferisco continuare a correre».
Che cos’è per lei la Juve?
«La storia del calcio italiano, una seconda famiglia e un grandissimo punto di arrivo per la mia carriera».
Al punto da rifiutare il Real Madrid o il corteggiamento della Premier?
«Solo il fatto che io sia stato accostato a un club come il Real Madrid, mi sembra una cosa più grande di me. Sono orgoglioso degli estimatori che potrei avere, è gratificante e stimolante sapere che qualcuno ti apprezza. Proposte non ne ho ricevute. In qualsiasi caso, la Juve è il mio Real».
Si vede qui per il resto della carriera?
«Beh, ho rinnovato fino al 2029 e vorrei rimanere il più a lungo possibile».
Dicono che lei sia più maturo dei suoi 24 anni.
«Forse sì. Il calcio ti sbatte sotto i riflettori che sei ancora un ragazzino e non ti dà l’opportunità di sbagliare. Ti fa crescere in fretta».
Togliamoci l’imbarazzo: siete da scudetto?
«Siamo da primissimi posti e la Juve deve sempre giocare per vincere. L’Inter è favorita e tra due domeniche c’è lo scontro diretto. Chissà... Prima però ci sono Lazio e Stoccarda, due montagne altissime. Siamo tra le migliori».
Domani c’è Juve-Lazio. Quella di Baroni è...?
«Una squadra fastidiosa, con gamba ed entusiasmo, che fa paura. Verrà a Torino con quattro calciatori offensivi davanti».
In testa c’è il Napoli.
«Fa impressione per la sua forza. Giocarci è stato un bel test. La partita con la Roma di De Rossi però è stata la più complicata per noi».
Ma è vero che lei non gioca alla PlayStation e non frequenta i social?
«Vero. Non condanno videogiochi e social, passatempi utili per evitare che la noia ti risucchi e ti faccia fare delle sciocchezze. Personalmente, però, preferisco giocare a golf e leggere qualche libro per rilassarmi un po'».
Fare il calciatore è stressante?
«È opprimente, a volte».
Il pubblico ha un’idea differente della vostra categoria.
«Ho fame, ho voglia di arrivare. Se penso alla strada fatta e a dove sono oggi mi gira la testa. Quindi preferisco continuare a correre».
Che cos’è per lei la Juve?
«La storia del calcio italiano, una seconda famiglia e un grandissimo punto di arrivo per la mia carriera».
Al punto da rifiutare il Real Madrid o il corteggiamento della Premier?
«Solo il fatto che io sia stato accostato a un club come il Real Madrid, mi sembra una cosa più grande di me. Sono orgoglioso degli estimatori che potrei avere, è gratificante e stimolante sapere che qualcuno ti apprezza. Proposte non ne ho ricevute. In qualsiasi caso, la Juve è il mio Real».
Si vede qui per il resto della carriera?
«Beh, ho rinnovato fino al 2029 e vorrei rimanere il più a lungo possibile».
Dicono che lei sia più maturo dei suoi 24 anni.
«Forse sì. Il calcio ti sbatte sotto i riflettori che sei ancora un ragazzino e non ti dà l’opportunità di sbagliare. Ti fa crescere in fretta».
Togliamoci l’imbarazzo: siete da scudetto?
«Siamo da primissimi posti e la Juve deve sempre giocare per vincere. L’Inter è favorita e tra due domeniche c’è lo scontro diretto. Chissà... Prima però ci sono Lazio e Stoccarda, due montagne altissime. Siamo tra le migliori».
Domani c’è Juve-Lazio. Quella di Baroni è...?
«Una squadra fastidiosa, con gamba ed entusiasmo, che fa paura. Verrà a Torino con quattro calciatori offensivi davanti».
In testa c’è il Napoli.
«Fa impressione per la sua forza. Giocarci è stato un bel test. La partita con la Roma di De Rossi però è stata la più complicata per noi».
Ma è vero che lei non gioca alla PlayStation e non frequenta i social?
«Vero. Non condanno videogiochi e social, passatempi utili per evitare che la noia ti risucchi e ti faccia fare delle sciocchezze. Personalmente, però, preferisco giocare a golf e leggere qualche libro per rilassarmi un po'».
Fare il calciatore è stressante?
«È opprimente, a volte».
Il pubblico ha un’idea differente della vostra categoria.
«Lo so e non è facile spiegarlo. Ma a 24 anni sei dentro un frullatore, sotto stress, costretto a crescere ben oltre i tuoi ritmi naturali. Il rischio di farsi del male in modo autolesionistico c’è e non va sottovalutato».
Le scommesse, il doping, lo spreco di denaro. Qualcuno prende strade sbagliate. Lei che compagno è stato per Fagioli e Pogba?
«Aiutare è difficile, puoi farlo con una parola giusta, ma forse non basta. Certi mostri li conosci davvero solo se li vivi. Noi compagni e amici non possiamo avere l’ambizione di essere anche degli psicologi o dei medici perché non abbiamo le competenze per risolvere certi problemi».
È d’accordo con chi sostiene che si giocano troppe partite?
«Io starei sempre in campo, però non è un caso che tanti di noi si facciano male così spesso. L’infortunio non dipende solo da questioni fisiche, c’è la componente mentale. Se entri in campo stanco fai un appoggio sbagliato, corri peggio, ti affatichi prima. Sì, negli ultimi anni forse è stata tirata un po’ troppo la corda».
Niente distrazioni, tranne il fantacalcio.
«Quest’anno mi sono rovinato per prendere Vlahovic. Farà almeno 20 gol, me lo sento. Lo voglio aiutare. Poi ho speso il 10% del budget per prendere me stesso. Il resto l’ho investito su Dusan e su Di Gregorio, perché fin dai primi allenamenti con Thiago ho capito che avremmo subito pochissimo».
Sul suo comodino cosa c’è in questi giorni?
«“Niente teste di cazzo”, il libro sugli All Blacks di cui ha parlato anche Spalletti. Vorrei essere un compagno di squadra migliore, ma anche un professionista migliore. Questi ragazzi, che sono tra i più vincenti al mondo, in casa e in trasferta si puliscono lo spogliatoio da soli, si lavano le scarpe, si aiutano a vicenda nei momenti di difficoltà. Se possono farlo loro, che sono degli eroi, perché non può farlo Cambiaso?».
Che rapporto ha con la sconfitta?
«Tremendo. Da piccolo mi chiudevo, mi isolavo, stavo troppo male. Ora sto migliorando, ma quando perdo è ancora difficile starmi vicino».
Pensieri in libertà sui nuovi arrivati.
«Li adoro. Koop è pragmatico, sa quello che vuole e come prenderselo: una macchina. Thuram è un giocherellone. Di Gregorio appare come cattivone invece è buono come il pane. Cabal è un po’ introverso e non ci ha ancora fatto vedere tutto il suo potenziale. Douglas Luiz è genialità allo stato puro, fa impressione come tocca il pallone: se ne accorgeranno presto anche quelli che lo criticano. Adzic è un diamante, ha 18 anni ed è appena arrivato dal Montenegro eppure sembra sia alla Juve da una vita. Kalulu è un soldato: porca miseria, non ne sbaglia una. Nico è uno di quegli argentini che da avversario ti infastidiscono ma quando è dalla tua parte si getterebbe nel fuoco per aiutarti. Conceiçao è una bomba: dinamite pura».
Thiago è il suo mentore?
«Dal punto di vista tattico già a Bologna mi ha fatto scoprire cose che non avevo mai visto. L’ho ritrovato ancora più determinato: con lui non abbiamo ruoli, ma occupiamo lo spazio. Ha inoltre un suo metodo di gestione del gruppo: non ci fa mai capire chi gioca fino a poche ore prima della partita e questo alza il livello degli allenamenti e della competizione interna. Poi ha la “mottata” sempre in canna. E se fin qui le ha prese tutte, significa che è un visionario».
Anche Allegri stravedeva per lei.
«A Max voglio un bene dell’anima, anche Landucci mi è stato sempre vicino. Quello che mi ha lasciato Allegri è l’equilibrio mentale: ricordo che all’inizio della scorsa stagione volevo spaccare il mondo e lui mi diceva “calma, calma”. Troppa foga mi portava fuori giri, è stato il primo a darmi due scarpe comode per andare lontano».
I suoi idoli?
«Sono cresciuto nel mito di Cancelo, ma non ho mai smesso di ispirarmi a quelli bravi. Oggi adoro Zinchenko, Rico Lewis e Calafiori».
La gavetta in C e in D cosa le ha insegnato?
«Ad avere autostima. Io sono entrato a 9 anni nel vivaio del Genoa che ero un piccolo prodigio e sono uscito a 17 che ero in netto calo. Guardando indietro penso che io sia stato un pazzo a ripartire dalla Serie D e a credere di poter arrivare in alto. Ho preso il percorso dalla parte più difficile, ma lo rifarei».
Poi finisce che si diventa titolari della Nazionale: nelle ultime due 180 minuti e il primo gol.
«È stato tutto così veloce, dalla prima chiamata a oggi non è passato neppure un anno. Se la Juve da bambino era un sogno, la Nazionale era oltre».
Le scommesse, il doping, lo spreco di denaro. Qualcuno prende strade sbagliate. Lei che compagno è stato per Fagioli e Pogba?
«Aiutare è difficile, puoi farlo con una parola giusta, ma forse non basta. Certi mostri li conosci davvero solo se li vivi. Noi compagni e amici non possiamo avere l’ambizione di essere anche degli psicologi o dei medici perché non abbiamo le competenze per risolvere certi problemi».
È d’accordo con chi sostiene che si giocano troppe partite?
«Io starei sempre in campo, però non è un caso che tanti di noi si facciano male così spesso. L’infortunio non dipende solo da questioni fisiche, c’è la componente mentale. Se entri in campo stanco fai un appoggio sbagliato, corri peggio, ti affatichi prima. Sì, negli ultimi anni forse è stata tirata un po’ troppo la corda».
Niente distrazioni, tranne il fantacalcio.
«Quest’anno mi sono rovinato per prendere Vlahovic. Farà almeno 20 gol, me lo sento. Lo voglio aiutare. Poi ho speso il 10% del budget per prendere me stesso. Il resto l’ho investito su Dusan e su Di Gregorio, perché fin dai primi allenamenti con Thiago ho capito che avremmo subito pochissimo».
Sul suo comodino cosa c’è in questi giorni?
«“Niente teste di cazzo”, il libro sugli All Blacks di cui ha parlato anche Spalletti. Vorrei essere un compagno di squadra migliore, ma anche un professionista migliore. Questi ragazzi, che sono tra i più vincenti al mondo, in casa e in trasferta si puliscono lo spogliatoio da soli, si lavano le scarpe, si aiutano a vicenda nei momenti di difficoltà. Se possono farlo loro, che sono degli eroi, perché non può farlo Cambiaso?».
Che rapporto ha con la sconfitta?
«Tremendo. Da piccolo mi chiudevo, mi isolavo, stavo troppo male. Ora sto migliorando, ma quando perdo è ancora difficile starmi vicino».
Pensieri in libertà sui nuovi arrivati.
«Li adoro. Koop è pragmatico, sa quello che vuole e come prenderselo: una macchina. Thuram è un giocherellone. Di Gregorio appare come cattivone invece è buono come il pane. Cabal è un po’ introverso e non ci ha ancora fatto vedere tutto il suo potenziale. Douglas Luiz è genialità allo stato puro, fa impressione come tocca il pallone: se ne accorgeranno presto anche quelli che lo criticano. Adzic è un diamante, ha 18 anni ed è appena arrivato dal Montenegro eppure sembra sia alla Juve da una vita. Kalulu è un soldato: porca miseria, non ne sbaglia una. Nico è uno di quegli argentini che da avversario ti infastidiscono ma quando è dalla tua parte si getterebbe nel fuoco per aiutarti. Conceiçao è una bomba: dinamite pura».
Thiago è il suo mentore?
«Dal punto di vista tattico già a Bologna mi ha fatto scoprire cose che non avevo mai visto. L’ho ritrovato ancora più determinato: con lui non abbiamo ruoli, ma occupiamo lo spazio. Ha inoltre un suo metodo di gestione del gruppo: non ci fa mai capire chi gioca fino a poche ore prima della partita e questo alza il livello degli allenamenti e della competizione interna. Poi ha la “mottata” sempre in canna. E se fin qui le ha prese tutte, significa che è un visionario».
Anche Allegri stravedeva per lei.
«A Max voglio un bene dell’anima, anche Landucci mi è stato sempre vicino. Quello che mi ha lasciato Allegri è l’equilibrio mentale: ricordo che all’inizio della scorsa stagione volevo spaccare il mondo e lui mi diceva “calma, calma”. Troppa foga mi portava fuori giri, è stato il primo a darmi due scarpe comode per andare lontano».
I suoi idoli?
«Sono cresciuto nel mito di Cancelo, ma non ho mai smesso di ispirarmi a quelli bravi. Oggi adoro Zinchenko, Rico Lewis e Calafiori».
La gavetta in C e in D cosa le ha insegnato?
«Ad avere autostima. Io sono entrato a 9 anni nel vivaio del Genoa che ero un piccolo prodigio e sono uscito a 17 che ero in netto calo. Guardando indietro penso che io sia stato un pazzo a ripartire dalla Serie D e a credere di poter arrivare in alto. Ho preso il percorso dalla parte più difficile, ma lo rifarei».
Poi finisce che si diventa titolari della Nazionale: nelle ultime due 180 minuti e il primo gol.
«È stato tutto così veloce, dalla prima chiamata a oggi non è passato neppure un anno. Se la Juve da bambino era un sogno, la Nazionale era oltre».
Cosa non ha funzionato all’Europeo?
«Non ha funzionato il gruppo, non è andato l’ambiente, è stato un mix di varie cose. Siamo stati bravi a rialzarci, anche se resta un rammarico enorme perché certe opportunità capitano poche volte nella vita».
Essere un jolly non rischia di diventare, alla lunga, un problema?
«Ho iniziato da trequartista, ho fatto la mezzala, il regista e l’attaccante. Non vi dirò che gioco dove mi mette il mister, una banalità assoluta, ma che gioco dove vogliono i compagni per essere utile alla squadra. Il calcio va in una direzione ben precisa: i ruoli contano ormai solo da un punto di vista difensivo, poi nelle azioni offensive ognuno con la propria intelligenza va a trovarsi lo spazio giusto».
L’avversario che l’ha fatta uscire dal campo con il mal di testa?
«Uh, tanti. Ma se ripenso a Barcola e Doku mi ricoverano».