Sarri alla Lazio per incantare ancora: gioco e qualità al comando

Quindici anni tra i Dilettanti, poi un salto in avanti dopo l'altro, fino a quello sbagliato con la Juventus
Sarri alla Lazio per incantare ancora: gioco e qualità al comando© Juventus FC via Getty Images
Alberto Polverosi
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Quando il Giro d’Italia è passato da Stia, le telecamere della Rai hanno inquadrato il campo sportivo dove gli appassionati di ciclismo su un enorme striscione avevano scritto a caratteri cubitali “Stia-Pratovecchio saluta il Giro d’Italia”. L’ultima immagine, mentre il gruppo scappava per le strade del Casentino, è stata la panchina dove tutto ebbe inizio più di trent’anni fa, la panchina di Maurizio Sarri, giovane allenatore dello Stia in Seconda Categoria. Solo Castori, fra i tecnici italiani capaci di raggiungere la Serie A, ha fatto la sua gavetta, pur senza arrivare così in alto. Sarri è stato per quindici anni fra i dilettanti della Toscana. È andato avanti un passo dopo l’altro. Primo salto col Sansovino (Coppa Italia Dilettanti), secondo salto a Pescara, terzo a Empoli, quarto a Napoli, quinto al Chelsea. Infine il salto sbagliato, quello della Juve. Sbagliato sì, nonostante lo scudetto, finora l’unico della sua carriera. Sbagliato perché Sarri non ha mai amato la Juve e la Juve non si è mai avvicinata al pensiero di Sarri. La ragione per cui lui abbia accettato l’incarico si può capire, anche se non condividere (il desiderio, anzi, la necessità, di vincere in Italia), ma perché la Juve abbia scelto uno come lui questo resta un mistero.

Sarri alla Lazio torna simbolo anti-Juve

È stato (e ora, da laziale, potrebbe tornare ad esserlo) il simbolo dell’anti-juventinismo. Lo era già a Empoli, lo è diventato ufficialmente a Napoli. Eppure alla Juve ha fatto delle cose lontane anni luce dal suo modo di essere e di pensare. Quando ha preso la barca per andare a convincere Ronaldo, che stava solcando i mari a bordo del suo panfilo, ad accettare il ruolo di centravanti è stato l’inizio della sua fine. Non c’entrava nulla con la Juve. E chissà quanto si è mangiato il fegato quando ha sentito Orsato che in tv ammetteva l’errore sulla mancata espulsione di Pjanic in quel famoso Inter-Juve. Avesse vinto quello scudetto alla guida del Napoli, sarebbe cambiata la sua carriera (comunque prestigiosa) e forse anche l’ultima parte della storia del calcio italiano.  I suoi anni al Napoli e quelli di Allegri alla Juventus hanno dato vita a un dibattito molto acceso sul modo differente di giocare. Il calcio che fa sognare e il calcio che fa vincere, l’idea di un dominio tecnico a confronto con la certezza del risultato. Sono stati anni ricchi e speriamo di poterli rivivere già dalla prossima stagione.

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