C'è soltanto Immobile in questa Lazio

C'è soltanto Immobile in questa Lazio© Getty Images
Alberto Dalla Palma
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Era scomparsa ancora una volta, la Lazio, come era già accaduto tante altre volte durante una stagione che può essere salvata soltanto con un posto in Europa, molto più lontano dopo il pareggio contro il Torino e il successo della Fiorentina con il Venezia. Una squadra in altalena, bella come nessun’altra quando infila la partita giusta (contro la Roma e l’Inter all’andata le versioni più affascinanti), e battibile da chiunque quando non ci mette la testa e il cuore (a Verona, a Bologna e a Milano contro il Milan in Coppa le versioni peggiori). L’ha salvata come sempre Immobile, con il gol numero 180 in serie A: è comparso all’improvviso, sull’unico pallone che è arrivato nell’area del Torino. Era il minuto ‘92, il popolare e gasatissimo Bremer pensava di avercela fatta, di aver annullato il capocannoniere del campionato e l’attaccante che da sei anni fa il vuoto nel calcio italiano: c’è lui, poi nessuno altro nelle vicinanze. Ciro si è nascosto lontano da tutti, ha indicato a Milinkovic dove avrebbe voluto ricevere il pallone e lo ha messo in porta di testa, con la naturalezza che lo distingue da tutti gli attaccanti che partecipano al campionato di serie A. Il povero Bremer dovrà ripassare la lezione, sarà per la prossima volta, e intanto Ciro è salito a quota 25. Chissà, potrebbe essere il primo attaccante italiano a vincere per quattro volte il titolo dei cannonieri: è rimasto solo Vlahovic tra lui e il capitolo di una storia che sta diventando leggenda, comunque vada a finire questa corsa. Perché i numeri di Immobile parlano chiaro, almeno per chi vuole vederli e studiarli con onestà intellettuale e senza interessi personali.

La prodezza di Immobile è arrivata negli ultimi istanti di una partita dominata dal Torino, che prima del gol di Pellegri aveva colpito una traversa (Bremer) e aveva esultato per una palla gol di Izzo che Felipe Anderson era riuscito a togliere dalla riga di porta. Juric aveva studiato tutto, ma proprio tutto, nei minimi dettagli, annullando la Lazio e le contromisure che Sarri aveva cercato di prendere. Messi sotto pressione Luis Alberto e Milinkovic, chiuse le porte davanti all’asse di destra (Lazzari-Felipe) che aveva conquistato Marassi con una partita capolavoro, il tecnico granata ha risposto alla Lazio anche con azioni offensive costruite molto bene. Ancora una volta la squadra biancoceleste è apparsa spenta, poco motivata: eppure la vittoria della Fiorentina nel primo pomeriggio e il mezzo stop della Juve avrebbero dovuto caricare tutti per un finale di stagione di alto livello.

Ma la Lazio di Mau, ormai lo abbiamo capito, è fatta così: non sai mai se c’è o ci sarà, può fare tutto e il contrario di tutto. Le colpe? Vanno distribuite in egual misura, probabilmente, senza che nessuno si offenda: al tecnico, che non è ancora riuscito a trasmettere completamente la sua filosofia calcistica; alla squadra, incapace di interpretare un allenatore completamente diverso dal precedente (Simone Inzaghi); alla società, ormai di nuovo in rotta con il popolo biancoceleste e sempre distante dai casi che stanno tormentando anche il lavoro stesso allenatore (esempio: la lite tra Acerbi e la curva; l’addio di Luiz Felipe, certo, e di Strakosha, possibile, a parametro zero; gli acquisti impresentabili di gennaio, Kamenovic e l’altro Cabral).

Ci sono cinque partite per salvare il salvabile, cioè un piccolo posto in Europa che possa garantire anche qualche ricavo a un club poco appetibile sul mercato, sotto tutti i punti di vista. Eppure Lotito ha ancora il coraggio di vendere un biglietto di curva a 40 euro ai suoi tifosi per vedere la partita contro il Milan: evidentemente nostalgico dello stadio vuoto per Covid, sta facendo di tutto per allontanare la gente dalla squadra del cuore.


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