Lazio, Tare indeciso sul futuro

Il presidente vorrebbe tenerlo e rinnovargli il contratto, allargando i quadri dirigenziali. Igli non è convinto e riflette: il suo percorso può finire dopo diciotto anni
Lazio, Tare indeciso sul futuro© Getty Images
Fabrizio Patania
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ROMA - Resta o se ne va? L’interrogativo, dentro e intorno alla Lazio, è in sospeso da quasi un anno, quando le foto scattate in Piazza del Popolo con un telefonino inquadrarono la lite con Lotito, che gli aveva appena sfilato la Primavera, restringendone il raggio d’azione. Igli Tare, direttore sportivo della Lazio, deve decidere il proprio futuro. E’ in scadenza, può andare via o prolungare, accettando l’offerta rinnovata dal presidente. Si è preso qualche giorno di riflessione, può valutare altro. Gli ultimi aggiornamenti trapelati da Formello collimano: il presidente preferirebbe tenerlo, a patto di lavorare in sinergia, come ha ricordato la scorsa notte a Monte Mario, inviando un segnale al suo allenatore. Sta tentando di riavvicinare il diesse a Sarri e smorzare le tensioni (non smentibili) degli ultimi mesi. Igli tentenna. Valuterà cosa è meglio nell’interesse del club, dopo un lavoro lunghissimo e proficuo, ricco di colpi (e anche di cantonate), senza mai operare con un budget larghissimo. C’è tanto del suo lavoro in questa Lazio, a partire da Milinkovic e da Luis Alberto, due tra gli acquisti super messi a segno in quindici anni. Tare passò dal campo alla scrivania nell’estate 2008 prendendo il posto di Sabatini: da riserva di Rocchi e Pandev, si ritrovò a dirigere Delio Rossi, che per due stagioni lo aveva sistematicamente mandato in panchina. 

Distanze

Tolti Inzaghi (ex compagno di squadra, con cui divideva la stanza in ritiro) e Pioli, scelti nel pieno della maturità dirigenziale, Tare ha sofferto gli allenatori di personalità o di esperienza, come erano Petkovic e Reja (in seguito diventato suo grande amico) e ha confermato di essere Sarri, primo tecnico della gestione Lotito arrivato a Formello con un nome e uno standing superiore alla stessa società. Questo ha fatto la differenza nell’ultimo, tormentato biennio. Bacchetta del comando da dividere. Lotito si è affidato a un tecnico che chiede di essere seguito e ascoltato. Se reputa Kamenovic non idoneo, Kamenovic non gioca. Se suggerisce Casale e sa che può essere alla portata della Lazio, vuole essere accontentato. Chiede caratteristiche, non nomi. Non è stato sempre compreso. Come succedeva ai suoi predecessori, anche quando venivano indovinati i colpi: Luis Alberto non era il sostituto di Candreva, Hernanes era un doppione di Mauri, Felipe e Milinkovic dovevano trovare un ruolo. Tare ha intuito, sceglie la duttilità, riconosce la diversità di un talento, non lega il destino aziendale a un modulo. Sarri è un perfezionista, reclama giocatori specifici, anche i doppioni per il 4-3-3. Se Cancellieri è un esterno, gli pesa improvvisarlo da centravanti. C’è anche altro e appartiene alla quotidianità di Formello. Mau è un dipendente, non può decidere se Tare resta o no, non ha posto aut aut. Può chiedere e ha chiesto per due anni di fila un dirigente al suo fianco, suggerendo di ampliare i quadri. Peruzzi non è mai stato sostituito, Sarri lo avrebbe voluto e lo vorrebbe al suo fianco. 

Imbuto

Il mercato incombe. Tare vive a Roma da diciotto anni, deve capire se il suo percorso è finito o no alla Lazio. La contrapposizione con Sarri è relativa. Fareste di Lotito un debole. Non è così, anche se i preannunci di addio di solito lo portano a correre dietro ai suoi polli. Ci sono state numerose tensioni tra presidente e diesse dall’estate 2020 in poi. Un lento e inesorabile logorio del rapporto, rispetto al quale Lotito non ha mai derogato. Igli è una sua creatura e non ha mai cacciato nessuno, ma i contratti scadono. Possono essere rinnovati, in questo caso con un’autonomia ridotta. Lotito pensa che la società abbia bisogno di aria nuova, senza lotte intestine di potere, ecco l’altro aspetto su cui riflette Tare. Ai titoli di coda mancano un paio di settimane. 


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