Lazio, quando i tifosi contano più degli schemi

Leggi il commento sul momento dei biancocelesti dopo il successo nel derby di Coppa Italia
Lazio, quando i tifosi contano più degli schemi© LAPRESSE

Aprire i cancelli del centro sportivo di Formello, alla vigilia del derby, è stato un magnifico ritorno alle origini: l’idea veniva spesso anche a Sven Goran Eriksson, svedese di Torsby e romano di adozione, quando intuiva che la Lazio dei campioni - di Nesta e Mihajlovic, Mancini e Nedved, Simeone e Boksic, Salas e Veron, Almeyda e Sergio Conceição - aveva bisogno di respirare le emozioni, l’amore e gli umori del popolo biancoceleste per entrare nel clima giusto di una partita. Era un appuntamento quasi rituale, come le grigliate di carne che organizzavano gli argentini davanti alla foresteria: il football-ranch di Cragnotti diventava la casa dei tifosi, una zona più trafficata di piazza di Spagna, con le macchine parcheggiate in seconda fila. Il calcio non era solo tattica e schemi, in quegli anni, così come oggi non può passare il principio che il pallone dipenda esclusivamente dai computer e dagli algoritmi, dai tablet e dalle statistiche. In un mondo che viaggia alla velocità della luce e delle mode, sempre in evoluzione, possono cambiare i metodi di preparazione atletica, le maglie, gli sponsor, i giocatori, i moduli, gli allenatori, i presidenti, ma è ancora il legame affettivo tra una squadra e il proprio pubblico a nutrire il sistema e a generare la differenza. Sarri ha eliminato la Roma di Mourinho dormendo poco, fumando i soliti tre pacchetti di sigarette al giorno, studiando diverse varianti a causa delle assenze di Immobile e Luis Alberto (in grado solo di accomodarsi in panchina dopo l’infortunio agli adduttori) e accettando il rischio di puntare su un portiere esordiente come Mandas, classe 2001, che fino a maggio giocava in Grecia nell’Ofi Creta.


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L'allenamento tra i tifosi

Ma in questa somma di valutazioni calibrate dal tecnico in maniera magistrale va inserita anche la decisione di allenarsi martedì pomeriggio a Formello accanto alle famiglie e ai bambini, ai nonni e ai nipoti, riunendo tante generazioni. Una scelta romantica, un premio al senso di appartenenza, dentro un calcio plastificato che troppo spesso considera il tifoso un semplice cliente, preferendo l’isolamento e il silenzio, come Hollywood e i suoi divi, abituati a farsi conoscere solo attraverso il maxischermo di un cinema. La Lazio, a poche ore dal derby, si è tuffata nell’onda emotiva della sua gente, riconoscendole una centralità assoluta. Merito del presidente Lotito, del direttore sportivo Fabiani e di Sarri. Iniziativa loro: pensata e condivisa. Una mossa che si è rivelata fondamentale più dei video sul 3-5-2 della Roma e delle riunioni tattiche. Tra qualche giorno, dopo la partita di domenica con il Lecce, la Lazio comincerà a preparare il viaggio in Arabia Saudita per disputare la semifinale di Supercoppa contro l’Inter, in programma venerdì 19. Invitare di nuovo i tifosi a Formello, prima di volare a Riyad, darebbe un senso di continuità a questa voglia infinita di stare insieme e più vicini.


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Aprire i cancelli del centro sportivo di Formello, alla vigilia del derby, è stato un magnifico ritorno alle origini: l’idea veniva spesso anche a Sven Goran Eriksson, svedese di Torsby e romano di adozione, quando intuiva che la Lazio dei campioni - di Nesta e Mihajlovic, Mancini e Nedved, Simeone e Boksic, Salas e Veron, Almeyda e Sergio Conceição - aveva bisogno di respirare le emozioni, l’amore e gli umori del popolo biancoceleste per entrare nel clima giusto di una partita. Era un appuntamento quasi rituale, come le grigliate di carne che organizzavano gli argentini davanti alla foresteria: il football-ranch di Cragnotti diventava la casa dei tifosi, una zona più trafficata di piazza di Spagna, con le macchine parcheggiate in seconda fila. Il calcio non era solo tattica e schemi, in quegli anni, così come oggi non può passare il principio che il pallone dipenda esclusivamente dai computer e dagli algoritmi, dai tablet e dalle statistiche. In un mondo che viaggia alla velocità della luce e delle mode, sempre in evoluzione, possono cambiare i metodi di preparazione atletica, le maglie, gli sponsor, i giocatori, i moduli, gli allenatori, i presidenti, ma è ancora il legame affettivo tra una squadra e il proprio pubblico a nutrire il sistema e a generare la differenza. Sarri ha eliminato la Roma di Mourinho dormendo poco, fumando i soliti tre pacchetti di sigarette al giorno, studiando diverse varianti a causa delle assenze di Immobile e Luis Alberto (in grado solo di accomodarsi in panchina dopo l’infortunio agli adduttori) e accettando il rischio di puntare su un portiere esordiente come Mandas, classe 2001, che fino a maggio giocava in Grecia nell’Ofi Creta.


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