Sarri, ancora un gesto antisistema

Leggi il commento sulle dimissioni del tecnico toscano dalla Lazio
Massimiliano Gallo
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È un po’ come quando crollò il comunismo. Senza il nemico storico si dissolse rapidamente anche la Democrazia Cristiana. È quel che si è ripetuto con Sarri e Mourinho, col toscano negli insoliti panni della Dc. Andato via il portoghese, che a Roma i derby li ha sempre sofferti, è come se Maurizio e il suo calcio fossero improvvisamente invecchiati. Quell’aria vintage si è ritrovata senza fascino ma sola allo specchio a rimirarsi rughe senza speranza. Ci si può ritrovare superati anche se si è stati capofila di un calcio rivoluzionario. Lunedì sera, di fronte ai volti spenti (e a qualche frase) dei suoi calciatori e in uno stadio Olimpico immerso in un’atmosfera da fine impero, ha capito che a Roma il suo tempo era finito.

Sarri e il rifiuto della contemporaneità

Per i sarriani è un gesto che arriva in ritardo di mesi, per loro avrebbe dovuto lasciare la scorsa estate di fronte al pallido mercato di Lotito. Ma andarsene dopo il secondo posto e alla vigilia della Champions sarebbe stato autolesionistico. Proprio lui che non ha mai fatto in tempo a godersi gli unici due successi della carriera. L’Europa League al Chelsea e poi lo scudetto alla Juventus. Non se li è goduti perché i suoi trofei li ha vinti con le valigie già pronte. Da sopportato. O persino da separato in casa. Perché lui l’antagonismo ce l’ha nel sangue. Come ogni comunista toscano vintage che si rispetti. Il rifiuto della contemporaneità alla base della filosofia di vita. È parte del suo fascino. Lui giocherebbe tutte le partite la domenica alle 14.30. Con due maglie: una da casa e un’altra da trasferta da utilizzare quando proprio non se ne può fare a meno. Ha sempre mal digerito le coppe europee, questo dover giocare ogni tre-quattro giorni, figurarsi il calcio spezzatino. Il club per lui resta sempre il padrone. Per quanti sforza possa fare, non lo convincerete mai che un allenatore oggi è una sorta di amministratore delegato. Per lui allenare sarà sempre stare su un campo di allenamento con la sigaretta in bocca e ampia libertà di espressione. Alla Sansovino come al Chelsea.

Lo storico secondo posto e la vittoria sul Bayern

Alla Lazio tutto sommato ha fatto bene. Il secondo posto è un traguardo storico. Anche la vittoria sul Bayern rimarrà. Ma nella storia della sua vita in copertina restano sempre gli anni di Napoli. Quel gioco che fece innamorare l’Italia e portò Allegri sull’orlo di una crisi di nervi. Perse lo scudetto, è vero. Nonostante i 91 punti. La sua rivincita fu aver fatto innamorare i dirigenti della Juventus che lasciarono acciughina per lui. Lontano da Napoli, però, di quelle trame non si è visto più niente. Era riuscito nell’impresa di convincere gran parte dell’opinione pubblica che avesse fritto il pesce con l’acqua. Come Zeman a Foggia. Ovviamente non era così, quella squadra era forte, aveva calciatori forti che poi lo hanno dimostrato. Ma se n’erano convinti con lui. Con lui si erano sentiti per la prima volta grandi.

Sarri, un'immagine di anti-sistema

Adesso, a 65 anni, ha un futuro da progettare. Deve scegliere, Maurizio. Se rimanere fedele al suo personaggio tanto caro ai nostalgici. Ora anche rinvigorito dalle dimissioni: un gesto che rilancia la sua immagine di anti-sistema. O venire a patti con la contemporaneità. Operazione non semplice per una persona che una volta dichiarò: «Non leggo i giornali, guardo solo il Televideo, la pagina 250 perché mi interessa la serie B».


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