Immobile, come un ragazzo della curva Nord

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Stefano Chioffi
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Ciro Immobile non ha abbandonato la nave per pensare al suo conto in banca: i soldi del Besiktas sono tanti, ma li considera un aspetto marginale. Da un po’ di tempo aveva capito che si era chiusa un’epoca e ha evitato alla Lazio l’imbarazzo di ripetere questo concetto in maniera ancora più esplicita. Non pretendeva di conservare una centralità per diritto divino. Il problema è che percepiva il distacco di una storia consumata. Si sentiva fuori dal cerchio: temeva di essere diventato un costo, un intralcio, un monumento ingombrante. Troppi segnali nella stessa direzione, aveva il sospetto che a Formello il suo contratto venisse ritenuto un peso. Otto milioni lordi a stagione, scadenza nel 2026, giudizi e messaggi traversali. E così, in una Lazio che non vive una fase magnetica con la sua gente e i suoi vecchi campioni, ha deciso di salutare anche Ciro, il centravanti-bandiera, il collezionista di record, il capitano diventato leggenda: 207 gol e un soprannome, The King. In otto anni li ha sorpassati tutti, da Giordano a Chinaglia, da Signori a Piola. Rovesciate e colpi di tacco, tre titoli di capocannoniere, una Scarpa d’oro (vinta davanti a Lewandowski), una Coppa Italia, due Supercoppe. Una generazione cresciuta con la maglia numero 17. Una collezione di partite da standing ovation. Puro, spontaneo, mai vip, l’espressione di una comunità. Non ha scambiato la Lazio per un’opportunità di lavoro, per un palcoscenico, per un bancomat.

Quando ha intuito che il vento era cambiato, Immobile ha chiesto ai procuratori di cercargli un altro club. Solo all’estero, però, per una questione di affetto verso i tifosi biancocelesti. Aveva pensato all’America, poi è arrivata la proposta del Besiktas. Ha ragionato in silenzio, mentre era in vacanza e sui social postava le foto degli allenamenti in palestra. Così è nata la scelta di fare un passo indietro. Un gesto che equivale, per portata e significato, alle dimissioni di Sarri e Tudor. Ha rinunciato a uno stipendio e a una serie di premi. Dominante l’idea di agevolare i piani di rinnovamento della Lazio e di rimettersi in discussione a Istanbul. Soprattutto dopo il messaggio recente di Lotito: “È finita l’era delle bandiere, al centro c’è la Lazio”. Ha trovato il cancello aperto, come immaginava. Nessuna polemica, però: il rispetto, nella visione di Ciro, non può avere la durata di un accordo depositato in Lega. Se avesse anteposto gli interessi privati, sarebbe andato via qualche anno fa, passando al Milan o seguendo Inzaghi all’Inter, oppure avrebbe accompagnato Milinkovic in Arabia.

L’ultimo periodo è stato faticoso: la fuga di Sarri, la denuncia di Lotito sui contrasti tra una parte del gruppo e l’allenatore, le voci da cortile sui clan interni, la ricerca dei colpevoli, gli insulti sui social, le undici panchine in campionato. Ma non ha mai perso la strada maestra. Splendida la scena durante la semifinale di ritorno in Coppa Italia contro la Juve, quando Ciro - in tuta - era entrato in campo per festeggiare la doppietta di Castellanos. Come un raccattapalle, come un ragazzo della curva Nord.

Alla società di Lotito, nella scorsa stagione, ha continuato a garantire ricavi, nonostante alcuni infortuni e il turnover: quattro gol in Champions. Ora la Lazio apre un tappeto di velluto per la consacrazione di Castellanos, costato quasi il doppio di Kvaratskhelia. Un’attesa che riguarda anche Noslin, pagato tre milioni a gennaio dal Verona e rivenduto da Setti a giugno per 18.668.000 euro, in base alla nota ufficiale apparsa su Borsa Italiana. Una cifra, bonus compresi, da versare in due annualità. Diciassette partite e cinque reti in serie A per l’olandese, che giocava nel Fortuna Sittard e ha ritrovato Baroni nella Lazio. Il ds Fabiani lo ha definito “un affare”, è convinto che abbia grandi potenzialità sfuggite in Eredivisie all’Ajax, al Psv Eindhoven e al Feyenoord.

L’unica certezza è che Immobile avrebbe meritato un’altra chiusura. Un divorzio che si sovrappone alla ricorrenza dei vent’anni di Lotito come presidente. Preoccupa la somma dei gol che la Lazio ha perso: 386, contando anche quelli di Milinkovic, Luis Alberto e Felipe Anderson. C’è un presente che va ridisegnato con senso di maturità e coscienza critica, interrogandosi sui valori che si porta via un passato demolito. Tanti giocatori di carisma e qualità hanno lasciato Formello per loro scelta. I tifosi temono un ridimensionamento. I numeri della campagna abbonamenti non vanno nascosti sotto la sabbia: solo 5.500 tessere rinnovate.


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