MILANO - Il Milan è tornato indietro, proprio come nel gioco dell’oca. È tornato quasi alla casella di partenza (sesto in classifica sprecando l’occasione di insediarsi al secondo posto dietro il Napoli) o comunque alla vigilia del derby del riscatto che segnò lo scampato pericolo per Paulo Fonseca, nonostante le smentite di facciata in qualche caso, autentiche nel caso di Ibra pur se condite da qualche espressione non proprio confacente al suo ruolo. Gli effetti benefici di quel successo si sono dispersi nel giro di una settimana tra la sconfitta di Leverkusen salutata con qualche giudizio benevolo per via del secondo tempo autorevole e la serata da harakiri vissuta a Firenze. Proprio i contorni di questo secondo stop in campionato sono i più allarmanti di tutti perché riguardano una serie di questioni che non sono soltanto calcistiche, ma che si riferiscono ai comportamenti dei singoli e all’auto-gestione denunciata in occasione dei due rigori. Pensate soltanto a Theo Hernandez che toglie il pallone già preso da Morata sul primo rigore e a Tomori che salta in alto per conquistare la sfera e passarla ad Abraham, suo amico e connazionale al Chelsea, disattivando così il timido tentativo di Pulisic. E poi ci sono le proteste a fine partita, inutili e perciò ancora più sconvenienti, di Theo, con la fascia di capitano al braccio, quelle sempre a basso volume di Pulisic all’atto della sostituzione per chiudere con la filippica tardiva di Fonseca che a fine partita ha scoperchiato il tetto dello spogliatoio spiegando che non erano state osservate le sue decisioni, «il rigorista è Pulisic, sono incazzato». Non l’avesse mai detto! Le censure si sono moltiplicate.
Montolivo, che ha frequentato Milanello e il calcio, è stato il più diretto: “È un autogol”. Proprio quest’ultimo aspetto è forse inquietante poiché rimette in discussione la qualità dei rapporti tra tecnico e gruppo squadra e demolisce quel poco di credibilità guadagnata dal portoghese con la famosa grigliata e il derby riconquistato dopo un bel pezzo. E fin qui sono rimasti fuori dal dibattito gli aspetti squisitamente tecnici, la decisione di ripresentare lo stesso schieramento per la 4ª volta di fila operando nel finale una serie di cambi che non hanno prodotto alcun beneficio e non per colpa di Chukwueze, uno dei pochi a procurare qualche brivido lungo la schiena di De Gea. La classifica è tornata indietro di qualche settimana, come la fiducia del mondo Milan nei confronti del tecnico accolto da scetticismo diffuso, includendo nell’elenco anche gli esponenti del management che domenica sera sono rimasti in un silenzio assordante dinanzi a quella sequenza di errori e omissioni. Due le voci di un certo rilievo raccolte nel frattempo. Quella di Reijnders che ha firmato un endorsement a favore del tecnico (“mi piace la sua idea di calcio”) e quella ancora più matura e consapevole di Matteo Gabbia, fresco di convocazione in Nazionale che domenica notte ha rivolto una feroce critica a tutto i suoi sodali ("non abbiamo fatto il massimo giocando bene alcuni momenti e altri no, non c’è niente di bello"). Capitò anche a Terim lo stesso destino: vincere il derby in modo sorprendente e poi finire con l’esonero a favore dell’arrivo di Carlo Ancelotti, cominció allora il nuovo rinascimento milanista, alba degli anni duemila. È il rischio nel quale è riprecipitato Fonseca. La sosta può essere l’occasione per una riflessione più profonda ma finora i segnali di un ripensamento da parte del club non ci sono anche perché anche il proprietario Gerry Cardinale è rimasto colpito in senso negativo dalle crepe emerse nello spogliatoio oltre che dal risultato deludente. E dagli uffici di casa Milan non è uscito nemmeno un atto di contrizione.