Milan, Conceicao al Max e un altro Ibrahimovic

Leggi il commento sul momento dei rossoneri dopo l'esonero di Fonseca e l'arrivo in panchina del suo connazionale
Franco Ordine
4 min

C ’è una frase - andava di moda ai tempi del Milan berlusconiano - che sembra sia stata rispolverata. Recita più o meno così: "La differenza tra qualcosa di buono e qualcosa di grande è l’attenzione ai dettagli". Se c’è una caratteristica che guida Sergio Conceiçao in queste prime ore di gestione del Milan è proprio la cura e la ricerca dei dettagli.

Conceicao come Max Allegri

È cominciata dal giorno del suo arrivo: cancellato il riposo, tutti ad attenderlo a Milanello, allenamento di 2 ore abbondanti sotto i riflettori perché finito di sera. È proseguita il giorno dopo quando ha fatto scattare la sveglia al mattino presto per avere il tempo di fare colazione, allenarsi, pranzare e poi volare in Arabia. «Bisogna andare al massimo» ha ripetuto spiegando che non è certo il massimo fin qui registrato. A conferma plastica di questo distinguo, per esempio, ha chiesto ai suoi di dotarsi dei parastinchi durante il primo allenamento in Arabia. Perché? Semplice: perché bisogna andare forte se poi vuoi girare in partita. Appena sbarcato a Riad, quasi sorpreso dall’accoglienza con la corona dei fiori in albergo, ha continuato a chiedere informazioni su altri dettagli interni e organizzativi del club. Conta per il mestiere di allenatore? Non c’è una sola risposta ma serve a cogliere il metodo del nuovo allenatore. Conceiçao sembra, almeno in questo, più vicino ad Antonio Conte o a Max Allegri che a Paulo Fonseca il quale scelse di fare il Masaniello a fine partita, una volta contro gli arbitri, una volta contro un paio di calciatori.

Un 'nuovo' Ibrahimovic per il Milan

Misureremo sul campo la bontà delle sue scelte. Dopo i dettagli, infatti ci sono le idee. E se Conceiçao è convinto che «il calcio dominante è fare un gol da una parte e difendere dall’altra», vuol dire che si avvicina al credo di Max Allegri teorico del «il calcio è semplice» specie quando poi aggiunge l’altro comandamento personale, «il tiki taka è metterla dentro». Se poi Fonseca è rimasto spesso a Milanello «triste y solitario», Sergio ha di sicuro al suo fianco un altro Ibra, uscito sicuramente segnato dalla prima pubblica e velenosa contestazione della sua carriera. Era abituato a considerarsi un semidio quando calpestava l’erba calzando gli scarpini, dopo i fischi durante la festa per 125 anni, gli striscioni polemici della curva e i lazzi dei social è sceso dal cavallo bianco e ha riconosciuto una serie di errori commessi. Ha chiesto scusa «a Paulo e ai tifosi» per le modalità dell’esonero. Impensabile fino a qualche mese prima quando per spiegare a Boban il suo ruolo si auto-definì «il boss» con un tratto arrogante. Ha fatto di più Ibra. Dinanzi a una stagione che può volgere al peggio, nei risultati sportivi, si è assunto la responsabilità delle scelte avallate, magari anche di qualche assenza. Perché il calcio italiano – in un gruppo fatto di giovani calciatori con leader interni mai sostituiti, Giroud e Kjaer- ha delle leggi particolari che non si possono trascurare. E tra queste la cura quotidiana dei rapporti, la presenza per cogliere al volo se intervengono dissapori tra tecnico e calciatori, è indispensabile.


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