Osimhen, il Napoli metta un freno alla smania da social

Osimhen© FOTO MOSCA
Antonio Giordano
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Da “siamo ciò che mangiamo” a “siamo ciò che chattiamo” è un attimo, non sempre felice, in cui può capitare soprattutto a giovanotti esuberanti di perdere il controllo di se stessi e di buttarla in vacca (per dirla come loro). In questo mondo ormai senza freni inibitori, tra star e starlette che ondeggiano dentro un hashtag, il calcio scopre una sua nuova deriva e s’adagia, spesso e volentieri in fuorigioco, la zona ritenuta franca da Victor Osimhen che in un paio di giorni appena s’è preso (pure) brutalmente con uno dei suoi milioni di «seguaci». Ora bisognerebbe spiegarlo a questi benedetti ragazzi che non necessariamente un follower sia un amico, un tifoso o un devotissimo fan in attesa di un like. E però - al di là di queste banali distinzioni - sarebbe anche necessario, quasi indispensabile che un club tracciasse linee-guida e istruisse con la didattica a distanza ravvicinata l’etica del Terzo Millennio per aspiranti fuoriclasse dei social. Senza autoritarismo, ci mancherebbe, ma spiegando in poche parole che un giocatore è espressione del proprio club, un ambasciatore pure fuori dal campo, rappresenta un’immagine che non può essere macchiata, che va tutelata. Ma Osimhen - e i calciatori - sono anche idoli, dunque modelli per i giovani, ai quali conviene, è giusto e sacrosanto, inviare messaggi formativi.

In tempi recentissimi, Nicolò Zaniolo ha finito per ritrovarsi travolto da un’ondata di veleni che ne hanno prima frenato e poi addolcito, fino a farla sparire, la sua verve di comunicatore: che abbia compreso da solo, che sia stato illuminato dai genitori, che abbia avuto un ruolo la Roma, è un dettaglio che interessa relativamente. Zaniolo ha preso coscienza che la situazione era ormai divenuta incandescente e insostenibile, ha staccato le dita dallo smartphone e ha smesso di agitarsi in questo macrocosmo virtuale impastato di divertimento ma pure di lerciume. Il Napoli ha la facoltà - e anche il dovere - d’intervenire, conoscerà il modo per farlo con un ventitreenne che ha bisogno comunque di una “guida” nella gestione della sua presenza in questo magico universo più accecante che abbagliante. Insomma, Osi va aiutato a comprendere che non si va in giro (nell’area di rigore e pure fuori) con le braccia eccessivamente alte, né che si può cliccare compulsivamente con le dita impregnate di fango. E non si dica: so’ ragazzi.


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