Il sogghigno di De Laurentiis

Il sogghigno di De Laurentiis© FOTO MOSCA
Ivan Zazzaroni
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Un mese e mezzo dopo gli striscioni contro De Laurentiis il Napoli ha battuto - pardòn, demolito - davanti a un pubblico adorante il Liverpool di Klopp, vicecampione della ricchissima Premier. L’ha fatto in Champions, naturalmente, con un giovane georgiano, un difensore sudcoreano, un centrocampista camerunese e un centravanti più italiano che argentino la cui smodata esultanza per il gol ha emozionato. Kvara, Kim, Simeone, Osimhen, Anguissa, Meret e il nuovo/vecchio Zielinski hanno scacciato quasi con violenza i fantasmi di Insigne, Koulibaly, Fabian (e Navas). Non è stato possibile staccarsi da Mertens poiché Ciro è riapparso al Maradona, con tanto di maglia azzurra, uscendo dall’armadio della fresca nostalgia.

Era il 23 luglio quando a Napoli compariva un lenzuolo al veleno: “Tre pacchetti dieci euro”, uno è Kim (gli altri Marlboro e Muratti). Le due righe finali evito di citarle: un po’ di pudore l’ho conservato, anche se non sembra. E meno di una settimana dopo, il 29, la campagna dismissioni veniva celebrata così: “AAA cercasi presidente, anche senza passione… ma non affarista arrogante e buffone”.

Niente di nuovo - cose di calcio, passione, frustrazione, fegato e antipatia - né di definitivo: di sicuro non mancheranno altre occasioni per sottolineare polemicamente e maleducatamente la distanza tra una parte della tifoseria e il proprietario del Napoli. Certo è che, dopo l’impresa di mercoledì, quelle proteste sfiorano il grottesco.

Ripeto da giorni che la campagna acquisti del Napoli è stata per più di una ragione la migliore della serie A: la società è riuscita a coniugare una notevole riduzione della spesa (in primis il monte ingaggi) con il mantenimento della competitività e i caratteri del rinnovamento non solo tecnico e anagrafico.

Il successo sul Liverpool, che non è in disarmo come ho letto da altre parti, ha confermato la qualità del lavoro di Giuntoli e dei suoi osservatori: De Laurentiis non va per campi, impone le direttive e lo fa spesso alla sua maniera. Immagino - conoscendolo - che dalle insulse sparate di capipopolo senza popolo, predicatori senza gregge, tragga più spasso che fastidio; così come non si lascia rapire dal trionfalismo degli opportunisti e degli aspiranti cortigiani: il bello del calcio è anche sapersi godere una partita e la vittoria in perfetta solitudine, pur se in mezzo ai cinquantamila del Maradona.

In una stagione che sembra offrire possibilità virtualmente infinite, questo Napoli è realmente in grado di recitare un ruolo di primissimo piano e mi diverte ascoltare o leggere che per riuscirci dovrebbe (deve) sconfiggere i demoni di Spalletti, allenatore di livello, ma uomo complicato, oltre alla bipolarità della piazza.

Sulle capacità di Spalletti non nutro più dubbi, sui facili entusiasmi e le altrettanto naturali depressioni della tifoseria, nemmeno. Solo gli infortuni e altre disgrazie calcistiche (non posso escludere quelle arbitrali, restando nel campo del fisiologico non del complottistico) possono frenare il cammino di una squadra fatta bene che oggi dovrebbe presentare al centro dell’attacco Giacomo Raspadori, alto la metà di Osimhen, ma di gamba forte e caratura elevata. Napoli è pronta a ribattezzarlo Giacomhen.

Punto (puntiamo) su Raspadori come sostituto di Osi: se Spalletti gli preferisce Simeone nel 4-3-3 con Lozano e Kvara lo fa solo per dispetto.


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