Napoli, l'ultimo prodigio di Maradona

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Napoli, l'ultimo prodigio di Maradona© ANSA
Alessandro Barbano
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I fiori e la folla incuriosita stanno davanti al murales di Diego. Si ripete un rito devozionale: Napoli si prepara a festeggiare il compleanno del Pibe, come accade ormai da quasi trentadue anni, da quando il 17 marzo del 1991 la favola argentina cessa nella storia sportiva della città, con una squalifica del campione per doping. E diventa mito. Ma qualcosa è cambiato. Per la prima volta Maradona è pensato come un dolce ricordo e non come una cruda nostalgia. Il pellegrinaggio attorno a questo luogo di culto laico non ha più quella cifra vittimistica della frustrazione. Non è merito dei risultati, del primo posto in campionato e nel girone di Champions, che pure tornano ad accendere speranze. È piuttosto l’effetto di una riconciliazione tra il popolo dei tifosi e l’estetica del calcio.

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Era già accaduto qualche anno fa. Quando, nel terzo campionato di Sarri, sul cielo dell’Allianz Stadium la sagoma gigante di Koulibaly aveva svettato tanto in alto, e con tanta armonia, da dare l’impressione di poter dominare con la sua bellezza agonistica la Juve, e poi l’aveva frustata con un colpo di testa che parve a molti un segno del destino. Al rientro da Torino occorsero due ore alla comitiva degli azzurri per poter uscire da Capodichino, tanta era la folla assiepata attorno allo scalo. Ma diecimila di quei tifosi avrebbero pianto lacrime amare pochi giorni dopo sugli spalti di Firenze, di fronte all’abulia che condannò Insigne e compagni alla peggiore delle umiliazioni. Quel giorno i napoletani si convinsero una volta di più di essere orfani sempiterni del Pibe.

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Da quest’arrocco desolato ora quegli stessi tifosi sono usciti. Alla spicciolata hanno fatto strada i meno esposti al trauma del rimpianto, e pian piano hanno aperto crepe nello scetticismo degli altri. A sciogliere quella durezza di spirito, che si era addensata attorno agli animi come una calcificazione, è stata la sublime bellezza. Tanta non se n’era mai vista, tutta in una volta. Tanto più perché non sta, questa bellezza, sulle magìe di uno solo, come una virtù del corpo e dell’abilità concessa al fuoriclasse. Rimbalza invece tra le ventidue gambe azzurre saltellanti sull’erba, come un pallone guidato da un flipper che programmi di finire la sua corsa nella rete avversaria. È già accaduto quarantasei volte, tra campionato e Coppa, in meno di un terzo della stagione. E a molti pare la prova che Maradona sia di nuovo qui, con tutto il suo campionario di irraggiungibili numeri, tanto ricco da essersi spalmato sull’intero gruppo azzurro. Certo, c’è chi come Kvara dà a volte l’idea di portare in spalla da solo una gran parte di quel talento, ma a una più attenta osservazione ci si accorge che non è così. Poiché la magia è prodotta in modo solidale da tutti, tanto che alla fine di ogni partita si fa fatica a stabilire chi sia il migliore. E perfino quelle che altrove si chiamano riserve, come il Cholito, qui vivono la loro piccola ribalta da protagonisti.

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Questa divisione della bellezza che non riduce il quoziente, ma anzi lo moltiplica, pare un prodigio di Maradona, laicissimo e però insieme spirituale, simile al miracolo dei pani e dei pesci. Fa di questi giocatori una pattuglia ispirata di profeti, il cui gioco risuona come una buona novella tra il Mediterraneo e il mare del Nord. La forza di questa armonia contraddice quella della passione. Chiunque ami il calcio, e da qualunque parte stia il suo cuore di tifoso, non può sperare fi no in fondo che un simile incanto si spezzi, senza dolersene almeno un po’. Se il miracolo si ripeterà al Maradona, contro il Sassuolo, lo leggeremo stasera negli occhi spiritati del pastore che guida questa pattuglia geniale, dandogli fin qui una direzione sempre inconsueta e inaspettata. Spalletti è la forma di questo magma di energia e intelligenza.


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