Napoli mille colori: tre squadre per lo scudetto

Il 4-3-3 che ha stupito tutti. Poi il 4-2-3-1 e il 4-4-1-1: Spalletti studia e sperimenta grazie alla duttilità di Raspadori. E Ndombele diventa il jolly in più
Napoli mille colori: tre squadre per lo scudetto© LAPRESSE
Antonio Giordano
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NAPOLI - A pensarci bene, non è poi cambiato granché: il dettato di Spalletti è rimasto invariato - chi ha la palla la giochi in avanti, sempre e comunque a un calciatore in movimento - eppure, a guardare il Napoli «dentro», nella sua anima, c’è un’idea diversa, quasi inedita. I numeri a volte sintetizzano i concetti e comunque rischiano di banalizzarli, ma dalla prima settimana di Antalya e dall’amichevole che ha rappresentato il debutto tecnico in Turchia, altro è emerso: Spalletti non ha oziato, non gli appartiene, né se n’è stato a guardare la classifica, dondolandosi. Ha preso la squadra, se l’è stampata in testa e conoscendo a memoria ciò che era riuscito a strapparle in tre mesi, ha provveduto a definire una strategia esatta e contraria alle risposte che scorgerà nel semestre futuro, quello nel quale il Ghota tenterà di ribellarsi a questo straordinario potere costituito da un calcio abbagliante. Il tridente ci sta, è nelle corde, l’ha scolpito nelle quindici gare (tranne rare eccezioni), gli ha riempito gli occhi in ogni sua forma(zione), ha resistito agli infortuni di Osimhen e di Anguissa e di Rrahmani, s’è evoluto nello stretto e nelle ampiezze, ha sprigionato le cosiddette ripartenze - il moderno contropiede - ha offerto gioia: e però, pur avendo percezione che il Napoli che verrà somiglierà assai a quello che se ne è andato in vacanza, Antalya ha spifferato le intenzioni di Spalletti, uno studioso per natura, quasi un rabdomante. Cercare un Napoli alternativo sa di missione strumentale all’Idea, funzionale al sogno, è la sfida a se stesso e anche alla comprensibile e umana «insurrezione» delle Grandi dissemineranno trappole ovunque: dunque, 4-2-3-1 per ricominciare, o qualcosa che si avvicini, però con Raspadori dentro al campo, a fare la mezzala, ad andare a coprire sul play altrui, quasi fosse uno Zielinski che invece sta rifiatando. O anche 4-4-1-1 , in fase di non possesso, è già successo, e sempre con il suo «Jack» calato tra le linee, quelli che chiamano sottopunta, un diavoletto sistemato alle spalle di Osimhen; e Politano e Kvara sempre larghi, educati a rispettare le distanze, mai esterni di comodo o di copertura. Questi sono indirizzi che si scorgono tra i pensieri spettinati della sosta, che il rientro di Kim e di Olivera, di Anguissa e di Zielinski e di Lozano potrebbero modificare o semplicemente restare lì, come repertorio al quale attingere per sfuggire agli agguati. 

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La forza

C’è poi Ndombele, è un volto amico che compare quasi dal nulla, ha avuto difficoltà di inserimento (18 presenze che in realtà sono 737'), ha dovuto industriarsi a fare da controfigura di Anguissa o di Zielinski, mentre adesso sa di sé, trequartista di un 3-4-2-1 che in realtà ha avuto un senso per dar respiro ai giovani, aggiustandoli per quel che il Napoli poteva. Ma anche Ndombele, con il Raspadori che sembra un «8» ma che si comporta da «9», che in realtà è varie cose, costituisce l’espressione plastica dell’innovazione o della ricerca continua, di quegli esperimenti che in ritiro vanno inseguiti. Perché dal 4 gennaio, poi, non ci sarà più tempo, se non di riflettere e di intervenire - eventualmente - dialetticamente, sfruttando le partite con quel che si ha: due moduli in più, in realtà appartenenti allo stesso ceppo e dunque interpretazioni dei vari momenti, possono aiutare a starsene a guardare le stelle o quella cosa lì che per pudore (?) ancora nessuno ha pronunciato nel Napoli e nei dintorni. Però è per arrivarci che lavorano, ovviamente. 


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